Banche Centrali in ritirata

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bankitalia

Come ampiamente segnalato nelle settimane precedenti, nella riunione del FOMC la Fed ha dato il via al taglio (cosiddetto tapering) del programma di acquisti di titoli a partire da dicembre

La riduzione avverrà al ritmo di 15 miliardi al mese (10 mld di treasury e 5 di MBS) su un totale di 120 miliardi e gli acquisti dovrebbero azzerarsi pertanto a luglio del 2022.

Ma la notazione più importante, ovvero l’atteggiamento della Fed (la sua funzione di “reazione”) nei confronti delle pressioni inflazionistiche, è arrivata poco dopo a tranquillizzare i mercati: è stato sottolineato ancora una volta il carattere transitorio dell’inflazione, legata a squilibri tra domanda e offerta generati dalla pandemia e quindi destinati a rientrare nel tempo. Anche se i progressi richiesti dalla Fed per iniziare a tagliare gli acquisti sono stati raggiunti, l’economia richiede ancora una politica monetaria accomodante.

Il succo è che alcuni problemi non possono essere affrontati con gli strumenti tipici della politica monetaria, quali manovre sui tassi, che normalmente agisce sulla domanda: i tassi non possono ridurre i vincoli e le strozzature dell’offerta che devono seguire un adattamento naturale.

I tassi di interesse, fermi tra lo zero e lo 0.25%, non sono stati pertanto oggetto di discussione durante la riunione di novembre e l’inizio del tapering non implica nessun segnale diretto sulla politica riguardo i tassi stessi: l’accenno è al mercato del lavoro che, rimasto indietro, è ancora lontano dalla piena occupazione. Powell non ha nemmeno segnalato rischi di una spirale prezzi-salari e anche se le retribuzioni sono salite rapidamente, i prezzi lo hanno fatto più velocemente.

In Europa la Lagarde ha dichiarato che è “molto improbabile” che le condizioni per un rialzo si verifichino nel 2022, e che loro non permetteranno un indesiderato inasprimento delle condizioni finanziarie. Parole rassicuranti sono giunte anche sul destino del Pepp, nel senso che a dicembre annunceranno le misure che lo andranno a sostituire, smorzando i timori del mercato di un crollo degli acquisti di titoli da marzo. Tant’è che il BTP ha quasi ritracciato del tutto il sell-off di cui era stato oggetto nei giorni scorsi.

Alle sorprese e al coro di banche centrali che gettano acqua sul fuoco dei tassi si è aggiunta in ordine cronologico la Bank of England: dopo aver preparato per settimane i mercati ad un rialzo dei tassi a novembre il Comitato ha deciso di tenerli invariati, così come il quantitativo di acquisti di titoli mensile. Il motivo è che l’inflazione è considerata transitoria, mentre si notano segnali di indebolimento della domanda: è stato però segnalato che un rialzo si renderà “probabilmente necessario nei prossimi mesi”, ma l’ammontare di rialzi prezzato dalla curva UK è “eccessivo”.

Inutile dire che le dichiarazioni hanno impattato sia sulla sterlina, crollata vistosamente, che sulla curva UK che registra cali di 20 bp sui tratti brevi e medi (fino a 5 anni).

Il ragionamento degli investitori è che se nell’area economica che vede le più elevate attese di inflazione (con la banca centrale, di conseguenza, sotto enorme pressione per contenerle) l’istituto di politica monetaria non muove un dito allora significa che il mercato sta sovrastimando anche le probabilità di azione delle altre, fra cui Fed, BCE e RBA (Australia). Immediato il rientro generalizzato dei rendimenti su tutte le curve in oggetto, dopo la volatilità dei giorni precedenti, con tendenze delle curve ad appiattirsi.

L’unica voce fuori dal coro è costituita dalla banca centrale norvegese che ha tenuto il proprio meeting di politica monetaria: dopo il rialzo di settembre, la Norges Bank ha mantenuto i tassi fermi allo 0.25% anche se ha confermato l’arrivo di un ulteriore rialzo di 25 bps nel mese di dicembre.