Bersani: questa angoscia sia di lezione. Ora aiuti veri ai nostri sanitari

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Onorevole Bersani, Piacenza piange come mai nella sua storia…

“È una tristezza senza nome. Non c’è più nessuno che non abbia un amico o un conoscente morto o in terapia intensiva o che non sia a rischio. Quelli di fuori quasi non ci credono se dico che per numero di abitanti abbiamo più morti di Bergamo, un’angoscia tremenda. Ma siamo la Primogenita…”.

Può consolarci?

“No. Ma come diceva Cavallari siamo un crocevia, nel bene e nel male. Siamo gente sobria e generosa che ha saputo reagire con dignità e al massimo delle proprie possibilità. E mi auguro che questa sofferenza che stiamo patendo serva da lezione a tutta l’Italia, al Centro e al Sud. Per dire loro: fate tesoro della nostra sofferenza ed esperienza, scacciate questo virus prima che sia tardi…”.

Nelle parole di Pier Luigi Bersani – ex ministro, segretario di partito e ora deputato di Articolo Uno – LeU che sostiene il governo Conte – c’è tutta l’apprensione per il grave momento che sta attraversando la sua Piacenza. Ma c’è anche il senso di responsabilità del politico che ha il dovere di indicare la via per uscire dalla crisi.

Qualcuno dice che bisognava chiudere subito Piacenza?

“Guardi, lo dicono quelli del ‘senno del poi’. Un conto è chiudere Vo’ o Codogno, un conto è chiudere Piacenza. Chi in quei primi giorni avrebbe detto chiudiamo Piacenza? La democrazia non è un pacchetto che si può prendere o lasciare. Non si potevano prendere misure che non avessero un minimo di rispondenza con l’opinione pubblica”.

Quindi giudica positiva la risposta del sistema?

“Guardi che noi nei fondamentali non stiamo sbagliando nulla. Tanto è vero che tutto il mondo ci sta copiando, poi è vero ci saranno anche stati errori, ma come avviene davanti alle cose sconosciute siamo andati per aggiustamenti successivi e abbiamo fatto bene. E sa cosa ci sta dimostrando tutta questa emergenza?”.

Cosa?

“Che è la sanità di territorio la vera arma contro il coronavirus. È evidente che in dieci anni c’è stata una riduzione sul Pil nella sanità delle regioni, oltre alla storia dei numeri chiusi per i medici. È evidente che si paga qualcosa dei dieci anni pregressi, ma c’è stato un andamento anche per approssimazione che ci ha permesso di restare in piedi nonostante tutto”.

C’è la necessità di agire nell’immediato su più fronti, non trova?

“Il sistema ha i nervi a fior di pelle e nei prossimi giorni abbiamo un problema che si chiama tenuta. Per affrontare la situazione dobbiamo occuparci di tre questioni e la prima riguarda gli operatori sanitari, medici e infermieri. Certo che sono eroi, ma servono loro gli strumenti”.

Cosa intende?

“Vede, gli strumenti di protezione sanitaria sono beni che in Italia non produciamo se non in pochissime quantità. Occorre concentrare quelli che si hanno sugli operatori sanitari. E lo stesso vale per i tamponi. Concentriamoli nella fascia più esposta. E poi per loro bisogna affrontare anche il tema del ricambio, perché molto sono sottoposti a stress proprio perché in contatto con situazioni drammatiche. Questo vale anche per categorie di lavoratori estremamente stressati, per esempio le cassiere dei supermercati”.

Il secondo fronte?

“È quello delle famiglie e delle piccole imprese. Bisogna dire bel chiaro: le pensioni arrivano, la cassa integrazione in deroga è garantita sul conto corrente per il 15 aprile, i bonus gestione baby sitter anche, una prima parziale e insufficiente misura per le partite iva c’è ma andrà potenziata. Sono d’accordo sull’estendere il meccanismo del reddito di cittadinanza sulle figure che non rientrano in queste categorie, penso ad esempio alle badanti. E poi per le imprese si deve andare verso un allentamento delle regole di accesso al credito. In aprile il passo successivo sarà di grande estensione di meccanismi statali attraverso la Cassa Depositi e Prestiti per avere garanzie nell’accesso al credito in modo semplice e largo, senza meccanismi di rating”.

E l’Europa ci darà una mano?

“Quella è la terza questione. Sullo sfondo tutti vediamo un problema che si chiama Europa. Il Patto di stabilità è stato derogato, la Bce ha allargato la borsa senza più guardare alle regole precedenti. Rimangono due questioni irrisolte: come si finanzieranno gli investimenti per riprendere la strada e, visto che bisognerà fare debito pubblico, come lo si pagherà? Gli eurobond e il sovradebito sono nodi aperti da sciogliere”.

E intanto c’è che parla di governo di unità nazionale…

“Allora, se teniamo ferma questa linea – operatori, famiglie, imprese, credito – noi possiamo affrontare questa emergenza non dico con tranquillità ma senza nervosismi eccessivi. E questo significa mettere in quarantena la politica. Ci manca solo che qualcuno pensi che sia l’occasione per destabilizzare il governo…”.