Car-T: l’arma in più per combattere i tumori del sangue

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Da pochi mesi di vita alla speranza di guarigione. Così la Car-T therapy ha cambiato nel giro di pochi anni le prospettive per malati con tumori del sangue inguaribili, che non erano riusciti ad ottenere risultati con tutte le terapie disponibili, e che ora possono riuscire a sbarazzarsi del cancro e riprendersi la vita. Lo confermano i dati presentati nelle scorse settimane ad Orlando durante il congresso annuale dell’American Society of Hematology (ASH) che richiama ogni anno migliaia di specialisti da tutto il mondo, dove si sono aperti anche nuovi importanti scenari: sia per il l’utilizzo delle Car-T in nuovi tipi di tumori, sia perché alcuni studi hanno individuato potenziali vie da seguire quando neppure queste «rivoluzionarie» terapie sono riuscite ad ottenere l’esito sperato
AUMENTANO LE INDICAZIONI ALL’USO DELLE CAR-T

«Quello che accade nella cura dei tumori del sangue funge spesso da apripista e da paradigma anche per tutti gli altri tipi di cancro – sottolinea Paolo Corradini, presidente della Società Italiana di Ematologia e direttore della Divisione di Ematologia all’Istituto Nazionale Tumori di Milano -. Le Car-T (che prevedono il prelievo dei linfociti T del malato, i principali artefici della risposta immunitaria contro il tumore, per rimaneggiarli in laboratorio in modo tale da renderli capaci di riconoscere e distruggere in modo selettivo le cellule cancerose) permettono di curare e, visti gli ultimi dati si osservazione sul lungo, forse persino guarire adulti e bambini con certi tipi di tumore del sangue che non lasciavano scampo fino a tre o quattro anni fa. È la prima terapia genica anticancro dell’umanità e ora stiamo imparando a utilizzarla meglio: da un lato, contro tipi di tumori diversi da quelli che curiamo già oggi, dall’altro in associazione a farmaci o prima del trapianto o quando il paziente ha una ricaduta».

LA SITUAZIONE IN ITALIA

Sono due le Car-T oggi approvate e rimborsate in Italia, per chi non ha risposto o ha avuto ricadute dopo aver ricevuto le cure standard: axicabtagene ciloleucel per adulti con linfoma diffuso a grandi cellule B e con linfoma primitivo del mediastino a grandi cellule B; tisagenlecleucel per la leucemia linfoblastica acuta a cellule B nei pazienti pediatrici e fino ai 25 anni di età e per il linfoma diffuso a grandi cellule B negli adulti. «I dati consolidati a medio-lungo termine fanno ben sperare – spiega Corradini -: circa il 50 per cento dei pazienti leucemici e il 35 per cento di quelli con linfoma hanno un controllo duraturo della malattia che potrebbe corrispondere a guarigione».                                                                             UN’OPZIONE IN PIU’ QUANDO LE CAR-T NON FUNZIONANO

Ma che succede quando anche dopo aver ricevuto le Car-T la malattia si ripresenta? «A questa domanda ha iniziato a rispondere uno degli studi più importanti presentati durante la sessione plenaria, quella di maggior rilievo, di questo congresso ASH – dice Pierluigi Zinzani, professor Ordinario di Ematologia all’Istituto di Ematologia “L. e A. Seràgnoli” dell’Università di Bologna (Policlinico S.Orsola-Malpighi) -. Nei pazienti con linfoma non-Hodgkin a cellule B recidivati o refrattari indolenti e aggressivi (alcuni dei quali anche dopo terapia con CAR-T), sono stati ottenuti buoni risultati con il nuovo farmaco sperimentale mosunetuzumab. -. Sono pazienti con una prognosi molto severa, nei quali si sono invece ottenute remissioni complete e durature». Mosunetuzumab è un anticorpo bispecifico che colpisce due diverse proteine: è infatti stato progettato per legarsi al recettore CD20 posto sulla superficie delle cellule B e al CD3 sulla superficie delle cellule T. Questo doppio legame attiva e reindirizza le cellule T esistenti del paziente per eliminare le cellule B patologiche rilasciando in queste ultime delle proteine citotossiche.

Nella sperimentazione sono stati arruolati 270 pazienti con linfoma: «I risultati dello studio (di fase uno, la prima di tre nella sperimentazione di un medicinale, ndr) indicano che quasi il 63 per cento dei partecipanti con un linfoma indolente e il 37 per cento di quelli con un linfoma aggressivo hanno ottenuto una risposta – prosegue Zinzani -. E oltre il 43 per cento dei primi e il 19 per cento dei secondi ha ottenuto una remissione completa. Le risposte sono durature nel tempo, per quasi due anni nei pazienti con linfoma indolente e circa 16 mesi in quelli con malattia aggressiva. In particolare, mosunetuzumab ha indotto remissioni parziali (quasi 40 per cento) e complete (oltre il 22) nei pazienti che avevano fallito la terapia con le Car-T».