Covid, “per oltre un italiano su due reddito è crollato”

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Più della metà degli italiani (50,8%) ha sperimentato un’improvvisa caduta delle proprie disponibilità economiche durante i mesi di stretto lockdown, con punte del 60% fra i giovani, del 69,4% fra gli occupati a tempo determinato, del 78,7% fra gli imprenditori e i liberi professionisti. La percentuale fra gli occupati a tempo indeterminato ha in ogni caso raggiunto il 58,3%. La situazione è fotografata dal focus Censis-Confcooperative “Covid da acrobati della povertà a nuovi poveri. Ecco il rischio di una nuova frattura sociale”.

Più nel dettaglio, 15 italiani su 100 hanno visto ridursi il reddito del proprio nucleo familiare più del 50%, mentre altri 18 italiani su 100 hanno subito una contrazione compresa fra il 25 e il 50% del reddito, per un totale di 33 italiani su 100 con un reddito ridotto almeno di un quarto. Ancora più drammatica la situazione fra le persone con un’età compresa fra i 18 e i 34 anni, per le quali il peggioramento inatteso delle propria situazione economica ha riguardato 41 individui su 100 (riduzione di più del 50% per il 21,2% e fra il 25 e il 50% per il 19,5%).

Ed è baratro povertà assoluta per altre 2,1 milioni di famiglie. Dalla ricerca emerge infatti che sono 2,1 milioni le famiglie con almeno un componente che lavora in maniera non regolare, in base a una elaborazione Censis su dati Istat. Di queste ben 1.059.000 di famiglie vivono esclusivamente di lavoro irregolare (sono il 4,1% sul totale delle famiglie italiane). Di queste, più di 1 su 3, vale a dire 350mila, è composta da cittadini stranieri. Un quinto ha minori fra i propri componenti, quasi un terzo è costituita da coppie con figli, mentre 131 mila famiglie possono invece contare soltanto sul lavoro non regolare dell’unico genitore.

La presenza di famiglie con solo occupati irregolari pesa al Sud dove si concentra il 44,2%, ma le percentuali che riguardano le altre ripartizioni danno conto comunque di una diffusione considerevole anche nel resto del Paese: il 20,4% nel Nord Ovest, il 21,4% nelle regioni centrali e il 14% nel Nord Est.

Nel 2019 le persone in povertà assoluta erano 4,6 milioni, di cui il 40,5% residente nelle regioni settentrionali e il 45,1% nel Mezzogiorno. Tra gli individui assolutamente poveri, 1 su 4 erano minori (un esercito da 1,14 milioni di persone), mentre gli stranieri quasi 1 su 3 (1,4 milioni). Le persone senza fissa dimora erano stimati in 112 mila, ma l’area dell’indigenza che faceva ricorso agli aiuti alimentari arrivava a comprendere 2 milioni e 700mila persone.

I cosiddetti “working poor” e i lavoratori irregolari in Italia rappresentano una doppia debolezza del nostro mercato del lavoro che rischia di esplodere perché la lockdown economy ha rischiato di incenerire il lavoro per 2,9 milioni di working poor e 3,3 milioni di irregolari.

Il fenomeno dei working poor riguarda i lavoratori che, nonostante siano occupati, non riescono con la retribuzione percepita ad assicurarsi una condizione dignitosa. Se si considera la soglia retributiva di 9 euro all’ora (presa come riferimento per il salario minimo legale) la platea di lavoratori che si colloca al di sotto comprende 2,9 milioni di individui, il 12,2% del totale degli occupati. Oltre la metà, il 53,3%, è costituito da uomini, mentre il 47,4% (un milione e 395mila lavoratori) ha un’età compresa fra i 30 e i 49 anni. Fra le figure professionali prevale quella operaia (79%).

E sono a rischio disoccupazione 830.000 lavoratori che hanno in media un reddito mensile di circa 900 euro. Sul piano delle tipologie di lavoratori, l’Ufficio Parlamentare di Bilancio – spiega lo studio – ha dimostrato come il rischio di disoccupazione possa colpire più duramente proprio fra i lavoratori dipendenti a basso reddito. In questa “zona rossa” ricadrebbero: 138 mila lavoratori temporanei con contratto a termine in scadenza fra marzo e ottobre e con un reddito imponibile mensile di 962 euro; 264 mila dipendenti in società di capitali a rischio in un settore a rischio e con un reddito mensile di 1.099 euro; 426mila dipendenti di ditte individuali in settori a rischio e con un reddito di 831 euro.