Distrofia muscolare di Duchenne, la diagnosi precoce è essenziale

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Il prof. Vincenzo Nigro: “Una linea germinale maschile invecchiata può rendere una figlia portatrice: è qui, infatti, che avviene circa l’80% delle mutazioni”

Napoli – Nella distrofia muscolare di Duchenne, come in tutte le patologie neuromuscolari, una diagnosi tardiva significa minori chance di azione: interventi mirati in età precoce, invece, possono concedere ai piccoli pazienti una vita più lunga e di migliore qualità. Purtroppo la diagnosi di questa grave malattia ereditaria avviene spesso troppo tardi.

L’ultima iniziativa pensata per porre rimedio a questo problema si chiama Neuromuscular Rare Disease Education Specialist (NRDES): è un team di ragazze con una laurea scientifica, un periodo di training e un contratto firmato con la biotech PTC Therapeutics. Il loro compito è quello di favorire tra i pediatri di famiglia la capillare diffusione del Position Paper sulle malattie neuromuscolari che è stato realizzato dalla Federazione Italiana Medici Pediatri (FIMP) in collaborazione con l’Associazione Italiana di Miologia (AIM) e la condivisione di Parent Project e UILDM, con il fine ultimo di ridurre i tempi di diagnosi dagli attuali 5 ai 2 anni.

Ma in che modo si effettua la diagnosi della Duchenne? Lo spiega il prof. Vincenzo Nigro, Ordinario di Genetica Medica all’Università Vanvitelli di Napoli e ricercatore presso l’Istituto Telethon di Genetica e Medicina (TIGEM) di Pozzuoli. “La diagnosi molecolare di questa patologia avviene mediante l’analisi del DNA. In prima istanza si cercano le mutazioni più frequenti (oltre il 75% dei casi), ovvero le delezioni e duplicazioni, con una tecnica quantitativa molto semplice che è la MLPA (Multiplex Ligation-dependent Probe Amplification). In secondo luogo, si usa una tecnica di lettura qualitativa per le mutazioni puntiformi: il Next Generation Sequencing (NGS). Nei casi di bambini piccoli l’analisi NGS viene estesa a tutti gli altri geni che possono dare fenotipi simili, quali sarcoglicani, FKRP e altri, per evitare di accanirsi su un gene che magari è normale”. La diagnosi molecolare ha ormai sostituito quasi completamente la biopsia muscolare, ma nei casi non risolti (meno del 5%) la biopsia resta necessaria per lo studio delle proteine e dell’RNA.

La prevalenza della Duchenne risulta costante, ma è possibile che – come avviene per numerose altre malattie – il rischio di avere un figlio affetto da Duchenne sia correlato all’età avanzata della madre in gravidanza? Il prof. Nigro lo esclude: “Può invece essere più importante l’età del nonno materno, che con una linea germinale maschile invecchiata può rendere una figlia portatrice. Nella linea germinale maschile, infatti, avvengono più mutazioni in funzione dell’età del soggetto: circa l’80%. Questo vale per tutte le malattie genetiche causate da mutazioni non cromosomiche: l’età del padre, invece, non conta perché non trasmette il cromosoma X al maschio”.

Al momento, in Europa, l’unico trattamento approvato per la Duchenne è il farmaco ataluren: in che modo agisce questa molecola? “L’ataluren può aiutare a saltare il codone di stop in-frame, cioè la mutazione nonsenso; in pratica una mutazione puntiforme che altera un codone per un aminoacido rendendolo di terminazione (circa il 10% dei casi). L’ataluren forza questo segnale, a patto che la cornice di lettura successiva sia tutta aperta: questo è il motivo per cui non funziona con delezioni e mutazioni frame-shift. Per il restante 90% dei casi ci sono dei farmaci che però sono ancora in fase di sperimentazione, oppure delle terapie di supporto come la riabilitazione respiratoria, il controllo della funzione cardiaca e il cortisone, che migliora la progressione della Duchenne”, conclude il prof. Nigro. “Nessun altro farmaco autorizzato oltre l’ataluren, tuttavia, è efficace sull’espressione della distrofina, ovvero sulla causa della malattia”.

Per conoscere le ultime novità sulla distrofia muscolare di Duchenne, visita spesso la sezione di OMaR dedicata alla patologia.