Dove sono i pacifisti?

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Usciti malconci dal pensiero unico sanitario, dove ogni accenno critico alla gestione della pandemia veniva interpretato come segnale di mattana pazzariella, terrapiattismo e magia nera, eccoci travasati direttamente nella mentalità bellica o-di-qua-o-di-là.

Dunque lo dico subito: di qua. Il popolo ucraino non merita né i missili sulla testa né le mire imperiali dello zar. E casomai strabilia, dopo secoli, che siamo qui ancora a parlare di imperi e imperatori.

Ognuno metterà in atto un suo speciale atteggiamento rispetto alla guerra, chi non occupandosene, chi seguendo mosse e sviluppi minuto per minuto, chi improvvisando soluzioni geopolitiche elaborate su due piedi: tutti strateghi-generali, come prima erano tutti primari di infettivologia. Personalmente suggerirei qualche cauta resistenza, perché saranno anche passati duemilacinquecento anni, ma quel che diceva Eschilo è sempre vero, la prima vittima della guerra è la verità, e noi ci troveremo a ondeggiare tra propagande contrapposte, notizie inventate, indiscrezioni, testimonianze, ricostruzioni che non saranno descrizione della battaglia, ma in molti casi la battaglia stessa.

Già il tasso di testosterone è alto, l’elmetto è calcato sulla testa, l’unanimismo fortemente consigliato. Se ti permetti di dire che mandare armi in una zona di guerra è una cosa che ha sempre creato discreti casini, eccoti arruolato con Putin. Uguale se discetti delle cause e della storia pregressa: ti si colloca col nemico, come anche se citi di otto anni di guerra in Donbass. Eppure qui che Putin è un nemico lo si sa da sempre, e anzi c’è una data precisa che lo certifica, ed è il 7 ottobre 2006, quando spararono ad Anna Politkovskaja, la giornalista colpevole di informare su un’altra guerra dello zar, quella in Cecenia.

Ora dovrebbe esserci una sola parola ovunque, per la precisione “Cessate il fuoco”, ed è comprensibile che nessun pensiero complesso possa funzionare mentre c’è gente che spara ad altra gente. Purtroppo questa parola si sente poco, per ora prevale qualche isteria sparsa, e molte contraddizioni.

Ad esempio, commentatori iperatlantici che hanno sempre irriso “i pacifisti”, quegli imbelli fancazzisti, e che ora li invocano alzando il ditino: “Dove sono i pacifisti? Eh?”. Poi i pacifisti arrivano, in tutta Europa, ma non sono più tanto graditi, perché si fa spazio la logica muscolare, pancia in dentro, petto in fuori, ci siamo rammolliti, presentat-arm! Nota in margine: sotto le bandiere della pace sfilano anche quelli che più di altri hanno inforcato la baionetta.

Dunque si può chiedere pace votando in Parlamento per spedire missili, allo stesso modo in cui qualche settimana fa si poteva applaudire il papa sui lager libici pur avendo votato i decreti Minniti e gli accordi con la guardia costiera libica. Miracoli della guerra, accodarsi al “tacciano tutte le armi”, ma spingere per spedirne altre (peraltro ne abbiamo vendute parecchie ai russi almeno fino al 2014).

ALESSANDRO ROBECCHI