Facciamo gli auguri a Briatore, ma chi nega il virus abbassa le difese

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Nel giorno per lui più drammatico, tutti noi dobbiamo fare i migliori auguri a Flavio Briatore. Ma questo non significa affatto ignorare che il focolaio Billionaire non è frutto del caso, ma il prodotto di uno stile, di una gestione sprezzante del territorio, degli uomini e delle cose, e – in sostanza – di un modello culturale. Bisogna partire da questo nodo decisivo, non per punire o per accanirsi contro chi sta soffrendo, perché la punizione è stata già molto grande: ma perché non si ripeta mai più.

Nei giorni che hanno preceduto il suo contagio, infatti, il punto è che Briatore aveva contestato tutti: 1) il provvedimento di divieto di ballo, 2) il sindaco del suo Comune e 3) le sei ordinanze sanitarie, 4) il governo e i provvedimenti anti-virus, 5) persino i sardi, colpevoli a suoi dire, di non capire le potenzialità turistiche della loro isola. Ma se poi al Billionaire si sono contagiati quasi tutti i dipendenti, il proprietario e buona parte dei clienti (cosa che non è accaduta in tutte le migliaia le discoteche italiane) questo significa che in quel locale la profilassi è stata più blanda che altrove, che il distanziamento sociale era saltato, che le precauzioni era molto basse.

Dire che il contagio è tornato a diffondersi – come raccontiamo a In onda da giorni – risalendo lungo le catene di tracciamento del rich kids e dei vip non significa condannare il lusso in sé, ma prendere atto che il Covid è un virus universale che tuttavia prolifera in determinate condizioni: è il virus della mobilità, è il virus di chi – statisticamente – ha più possibilità di contatto di altri. Se vai in discoteca una sera, metti a Riccione, hai (matematicamente) meno possibilità di contagio che se, in soli quattro giorni, hai toccato tutte le capitali della movida europea. Se ti ritrovi a ballare accalcato in mezzo ad altri 500 giovani che hanno sudorazione e respirazione accelerata rischi molto di più che se assisti ad un concerto di musica, seduto e distanziato, se vai in un ristorante o se stai seguendo la presentazione di un libro seduto al tuo posto.

Dover convivere con il virus impone a tutti noi un principio di valutazione del rischio che è sia personale che individuale. Siamo responsabili di noi stessi e degli altri. Ed ecco che qui il virus diventa (anche) ideologia, qui Briatore diventa come Bolsonaro e Trump, come Boris Johnson. Se tu neghi il virus, abbassi le tue difese (e quelle degli altri) contro il virus. Ecco perché, nella morsa drammatica in cui siamo finiti, tra negazionisti e drammatizzatori un fatto è certo: ci sono stati più contagi nel lussuoso focolaio del Billionaire, che nei poverissimi barconi della speranza.                                                      (Luca Telese – tpi.it)