Figli a casa, picco di costi «Tra babysitter e nidi i rimborsi sono un rebus»

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C’ è il lato allegro della questione. Bambini che si organizzano le Olimpiadi in corridoio sgommando sul parquet e comunicano con i compagni in video call degne di quelle di lavoro dei propri genitori. I messaggi sulle chat di classe con le maestre che leggono poesie zen e gli arcobaleni da appendere alle finestre. Ma c’ è anche un lato complesso che riguarda in questi giorni di emergenza sanitaria la gestione delle questioni di famiglia, tra asili e baby sitter. Sul fronte pubblico c’ è solo da mettere a fuoco la dinamica. Ma alle famiglie che hanno già pagato la retta annuale, Milano Ristorazione rimborserà la quota corrispondente alla serrata delle classi. Stesso discorso per chi non ha ancora pagato l’ ultima rata, che riceverà un nuovo bollettino di conguaglio con lo storno dei giorni senza scuola. C’ è però un tema che sta facendo arrabbiare tanti genitori-lavoratori: in attesa di inversioni sul fronte, nidi e asili privati hanno chiesto rette piene. Nonostante lo stop forzato da fine febbraio, quello del mese di marzo, quello ormai certo di aprile e quello per nulla da escludere di maggio. Qualche istituto ha avanzato sconti simbolici di pochi euro. Ma per le famiglie la battaglia sarà anche sul principio di un servizio non usufruito. Se non espressamente specificato nelle clausole del regolamento interno, succederà che in molti chiederanno il rimborso alle organizzazioni dei consumatori. Facile prevedere un effetto cascata. Il Codacons sul proprio sito ha già predisposto i moduli da poter scaricare. Per non creare disparità di trattamento tra cittadini, chi ha già pagato dovrà ottenere rimborsi proporzionali al periodo di chiusura. Ma Assonidi, associazione di categoria, fa notare che questo potrebbe portare al collasso molte strutture private. Passata la fase in cui si affidavano i bambini ai nonni come se fossero in gita scolastica, per il bene (dei nonni) chi ha figli ha iniziato a tenerseli a casa. E in alcuni casi si ritrova a fare i salti mortali, tra la tastiera del suo smart working e i turni di lavoro in esterna. Ci sono le famiglie che per contenere al massimo le frequentazioni hanno deciso di lasciare a casa la tata. In questo caso il decreto del governo non prevede nessuna cassa in deroga, ma solo la possibilità di accedere, con dinamiche tutte da chiarire, al Reddito di ultima istanza e in sede di dichiarazione dei redditi al premio di cento euro per chi ha continuato a lavorare anche in questo periodo. Resta il mistero sul tema dei voucher da 600 euro per pagare le baby sitter (peraltro richiedibili solo in alternativa ai 15 giorni di congedo parentale al 50%), per capire intanto se siano in qualche modo applicabili a domestiche già assunte: «Ieri abbiamo chiesto un incontro al ministro del Lavoro per capire come applicare le misure del decreto», spiega il vicepresidente di Assindatcolf Andrea Zini, in questi giorni bombardato dalle domande delle famiglie. Intanto una piccola certezza. L’ eventuale periodo di quarantena della propria domestica, equiparato alla malattia, sarà coperto dall’ Inps e non dal datore di lavoro. Ma il tema del rapporto di lavoro di tate e colf è pronto a esplodere. Riguarda 105 mila famiglie. «Per questo sarà una battaglia: va estesa la cassa in deroga a questo settore per anticipare l’ emergenza», spiega Zini. Perché se a marzo, al netto di qualche fuga di lavoratrici spaventate verso i Paesi d’ origine, ci sono stati pochissimi licenziamenti, l’ allungarsi dell’ emergenza costringerà le famiglie a fare dei conti. «E in assenza di ammortizzatori, non tante potranno permettersi di mantenere le proprie babysitter a casa».
stefano landi