Quello che la vita mi ha insegnato per affrontare la sfida più grande (Rizzoli), il libro del Generale Francesco Paolo Figliuolo in “conversazione” col giornalista Beppe Severgnini.
Quanti ricordi. Oggi questo libro fa emergere le già preclare qualità del Generale chiamato da Draghi (anzi, da Guerini, s’apprende) a ricoprire il ruolo di Commissario Straordinario all’emergenza Covid: umiltà, understatement, rifiuto dell’enfasi. “Ho contribuito a vaccinare una grande democrazia”. Se Putin ci attacca, casca male. La democrazia vaccinata la trionferà. Un pezzo di questa grande democrazia è rimasta svaccinata: i 6 milioni di novax che Figliuolo era determinato a stanare – con l’obbligo sopra i 50 anni, l’esclusione dallo stipendio e dalla vita sociale e infine con Novavax, il vaccino di cui si sono somministrate poche migliaia di dosi – non si è riusciti a convincerli (ma è di queste ore la notizia dell’offerta di un vaccino a piacere ai rifugiati ucraini: a qualcuno dovremo pur rifilarle, queste scorte).
Seguono chiarimenti rilevanti per la nazione: “Lei si arrabbia facilmente?”. L’uomo che ha retto le sorti del Paese nell’ora più buia risponde: “Purtroppo sì. Ma mi passa… Sono un po’ iracondo, lo ammetto… Tendo a reagire d’impulso, magari mi arrabbio, tiro un urlo”. (Nel dubbio meglio mettere in sicurezza la centrale nucleare di Latina). Severgnini, implacabile: “È ambizioso?”. Figliuolo: “Diciamo che ho una certa considerazione di me stesso”. “Egocentrico?”. “Secondo lei?”. “Sì, abbastanza. Vanitoso?”. “Un po’ sì”. “Un po’…?”. “Ok, sono vanitoso”. Immaginatevi 304 pagine tutte così, un compendio di narcisismo ed esibizionismo che in confronto Bassetti è Salinger (un libro, per una tele-star, è un passo prima dell’Isola dei famosi), con banalità da dopocena su Afghanistan, cappelli, imitazioni di Crozza etc.
DANIELA RANIERI



