Francesco Liberati Presidente di Banca di Credito Cooperativo di Roma

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Tratto da “ Banchieri “ di Beppe Ghisolfi – ARAGNO Editore
55 anni nel Credito Cooperativo

Mi chiamo Francesco Liberati. Ho l’onore e l’orgoglio di essere Presidente del Consiglio di Amministrazione delLa Banca di Credito Cooperativo di Roma dal 12 aprile del 2000, dopo aver compiuto un lungo percorso nelLa Banca stessa sin dal 1962. Una parabola di 55 anni iniziata con il mio arrivo a Roma, proveniente dall’Abruzzo marsicano dove risiedeva la mia famiglia. Avevo lasciato un tranquillo posto da impiegato pubblico in Comune per il salto nella grande città, ai tempi del boom economico che stava lanciando l’Italia nel novero dei grandi Paesi industrializzati del mondo. Gli albori della mia esperienza romana, tuttavia, non furono semplici.
La Banca, allora, era la piccola Cassa Rurale e Artigiana dell’Agro Romano con un unico sportello all’estrema di periferia di Roma e, per la precisione, al 18° chilometro della via Casilina. Era stata costituita appena otto anni prima da un pugno di 38 volenterosi cooperatori che, contro tutto e tutti, riuscirono con grande fatica a mettersi insieme e convincere le autorità di vigilanza, con il supporto di personaggi autorevoli dell’epoca come il Ministro Campilli e la spinta dell’Ente Nazionale delle Casse Rurali (ENCRA), dell’opportunità e dell’utilità della presenza di una Cassa Rurale in una grande area metropolitana come quella romana. Molti erano convinti, infatti, che la cooperazione di credito potesse supportare i cittadini – soprattutto le fasce più semplici di popolazione nelle aree suburbane – assicurando il diritto al credito e l’affrancamento dall’usura, a quei tempi molto diffusa. Ma i primi anni furono altalenanti per la Cassa, con vicissitudini che portarono nel 1962 al commissariamento della stessa e al varo di un piano di risanamento promosso dal Commissario Carlo Paoletti con il supporto del Presidente dell’ENCRA Enzo Badioli, che promosse una raccolta di fondi tra le Casse del Lazio e del Centro- Nord d’Italia al fine di risanare le perdite riscontrate nella giovane Cassa dell’Agro Romano. Quello di Badioli fu un ruolo importante non soltanto per la Cassa, che accompagnò sino a metà anni ’90, ma anche per me stesso in virtù dello speciale rapporto che mi legò a lui sin dall’inizio. Ricordo nitidamente, infatti, le sue visite allo sportello della Casilina ai tempi del commissariamento, nel corso delle quali lo informavo di come stessero andando le cose della Cassa, notando i suoi sinceri riguardi e l’apprezzamento per il mio lavoro. Questo rapporto si fortificò nel corso degli anni a partire dal 1963 con la sua nomina alla Presidenza della Cassa, la chiusura e la successiva riapertura dell’agenzia sulla Casilina che fui chiamato poi a dirigere nel 1965. Quel periodo fu per me una scuola di vita formidabile. A contatto con la gente, imparai a conoscere le persone, a valutarle, a capire a chi e come dare fiducia. Sviluppai sul campo una specifica esperienza creditizia basata sui rapporti umani e cooperativi. E la Cassa trovò in quegli anni ulteriore supporto dal fatto che venne costituito l’Istituto Centrale del Credito Cooperativo, l’ICCREA, con Presidente proprio Enzo Badioli. Nello stesso 1965 venne eletto Presidente della Cassa l’imprenditore Aldo Formiconi e nel 1967 le agenzie salirono a tre: Piazza Pompei, Casilina e via Adige. Alla fine degli anni ’60 la massa fiduciaria era superiore ai 7 miliardi di lire, contro i 654 milioni del 1963. In 6 anni era aumentata di 11 volte. Nel 1970 la Banca d’Italia autorizzò l’apertura di un nuovo sportello a Fidene. Poi nel 1973 la Cassa venne di nuovo commissariata. A novembre Enzo Badioli fu rieletto Presidente del Consiglio di Amministrazione e Giuseppe Marchetti nominato Direttore Generale. Nello stesso anno io fui nominato Direttore dell’agenzia di Via Adige. Negli anni ’70 vennero poste le basi per quello che sarebbe poi stato il decollo della Banca, che intanto, nel 1975, assunse la denominazione di Cassa Rurale ed Artigiana di Roma. All’inizio degli anni ’80, lasciato il ruolo di Direttore di agenzia diversificavo la mia esperienza professionale, approdando alla Direzione Generale della Cassa nel settore Ispettorato. Il 12 marzo del 1987 venni nominato Condirettore e il 16 settembre, poi, Enzo Badioli mi volle Direttore Generale in sostituzione di Giuseppe Marchetti gravemente malato. Non nascondo oggi che mi trovai di fronte un compito molto arduo: mi resi subito conto che era indispensabile traghettare la Cassa dalla dimensione pionieristica a quella di una moderna azienda bancaria, superando i limiti che, per ben due volte, avevano imposto un commissariamento. Quando assunsi la carica di capo dell’esecutivo nel 1987, focalizzai quattro ambiti emergenti sui quali dovevo concentrare l’attenzione per dare un futuro alla Cassa. L’ambito contabile e amministrativo, quello organizzativo e informatico, quello dimensionale e patrimoniale, l’ambito delle risorse umane. Chiesi di poter affrontare con ordine sistematico tutti gli ambiti di intervento, con il pieno appoggio degli organi  amministrativi che supportarono convintamente la mia azione. La Banca iniziò a crescere, divenendo ben presto la prima Cassa Rurale del Paese per dimensioni e volumi d’attività. Alla fine degli anni ’80 la raccolta totale era superiore a 1.350 miliardi di lire e gli impieghi avevano toccato i 350 miliardi, con 18 agenzie. Poi la Cassa “uscì” da Roma, rafforzando la politica di crescita orizzontale: accanto all’apertura di sempre nuove agenzie nell’area metropolitana romana, venne avviata la stagione delle aggregazioni aziendali con la fusione per incorporazione della Cassa Rurale e Artigiana “Beato Tommaso di Cori” e poi di quella Sacrofano. La Cassa stava divenendo un punto di riferimento sempre più riconosciuto e riconoscibile per il suo impegno al servizio dei Soci e dei clienti nel territorio di riferimento, poggiando sui valori forti del credito cooperativo: la mutualità, la solidarietà, il localismo, pilastri che compenetravano sempre di più il mio modo di agire e muovermi. Ad appena sette anni dalla mia nomina a Direttore, si realizzò un evento che suggellava la straordinaria crescita bancaria e sociale della Cassa: nel 1994 in occasione della celebrazione del quarantennale della fondazione si tenne il convegno “Il Credito Cooperativo per lo sviluppo di una grande area metropolitana”, nel corso del quale, ricordo ancora oggi con emozione, Giuseppe De Rita, ammirato dal clima di intensa partecipazione di migliaia di persone, coniò l’indimenticata espressione con cui ci caratterizzò come “Banca della gente”. Nel 1995 nuovo importante spartiacque: il 23 aprile l’Assemblea dei Soci delibera il mutamento della denominazione sociale in “Banca di Credito Cooperativo di Roma” e il nuovo Statuto a seguito dell’entrata in vigore della nuova legge bancaria. Il giorno dopo, il 24 aprile, avvenne l’inimmaginabile. Scomparve improvvisamente Enzo Badioli, un maestro di cooperazione, imprenditoria e umanità che lasciò un segno indelebile non soltanto per aver accompagnato per tanti anni la nostra piccola ma già grande cooperati- va di credito, ma anche per aver guidato con lungimiranza il movimento cooperativo nazionale e aver promosso a suo tempo la costituzione dell’Iccrea. Egli si trovava al mio fianco quando un malore lo colpì nel piazzale antistante l’edificio di viale Oceano Indiano, la nostra nuova sede inaugurata appena tre anni prima. Il nuovo Presidente fu Claudio Schwarzenberg, nel segno di una continuità da me fortemente auspicata. Schwarzenberg era un galantuomo. Il solo che avesse in quel momento l’equilibrio e l’autorevolezza per sostituire Badioli. Con il nuovo Testo Unico ora la Banca poteva fare Soci tra tutte le categorie professionali, con abilitazione a tutti i servizi creditizi. Ma, allo stesso tempo, si immergeva in un nuovo clima concorrenziale, una carta da giocare con opportunità impensabili un tempo, ma anche rischi. Rischi che decreteranno, difatti, la fine di molte altre piccole BCC negli anni a seguire. Proseguii il mio lavoro nella direzione della crescita tecnica e professionale della struttura aziendale, dando ulteriore seguito alla patrimonializzazione della Banca. Col senno di poi, posso dire che si trattò di un’azione quanto mai necessaria, visto quello che sarebbe poi accaduto al sistema bancario italiano e al credito cooperativo stesso. Fu importante, in questo senso la mia nomina a Consigliere Delegato, che avvenne nel 1997, per affiancare sempre più attivamente il Presidente Schwarzenberg. Lavorai intensamente anche per riannodare i rapporti con il mondo del credito cooperativo, che da alcuni anni avevano perso solidità, puntando a ricucire la rete delle relazioni associative e con gli organismi di categoria. Sulla base di queste scelte di fondo, nella seconda metà degli anni ’90, mi mossi per dare impulso alla crescita orizzontale della Banca, accanto a quella tradizionale di crescita verticale. Seguii in prima linea le numerose incorporazioni di altre consorelle BCC in difficoltà, un processo incoraggiato dalla Banca d’Italia che era interessata a mettere in sicurezza il credito e il risparmio locale. Entrarono nella nostra famiglia le BCC di Mandela e Vicovaro, di Cerveteri, di Scurcola Marsicana, della Sabina, del Parco Nazionale d’Abruzzo, di Amatrice, di Velletri, e molte altre ancora. La nostra capacità di relazione ci permise di gestire al meglio sul piano sociale locale tale espansione, assicurando la continuità del servizio mutualistico e l’attenzione alle nuove comunità locali. Qualche numero riepilogativo: dal 1991 sino al termine del decennio realizzammo in tutto 14 operazioni di aggregazione, maturando negli anni un utile bagaglio di esperienza che ci permise di mettere a punto un modello di intervento rapido ed efficace. La produttività passò nello stesso periodo da 4 a 7,9 milioni per addetto. L’obiettivo, centrato, fu la sopravvivenza stessa del Credito Cooperativo in alcune aree del Lazio e in parte dell’Abruzzo interno. La crescita ordinata e costante portò alla Banca in quegli anni importanti riconoscimenti esterni: arrivammo alla posizione n. 100 nella graduatoria delle banche nazionali stilata dal settimanale “Il Mondo”. Sempre nel 1997 le “pagelle” della rivista “Milano Finanza”, posero BCC Roma all’85° posto. Essere tra i primi cento istituti di credito italiani rappresentò un traguardo notevole, soprattutto in un’area metropolitana come quella di Roma, in cui erano e sono presenti tutti gli istituti di primaria importanza. D’altronde, proprio nel 1997 cadevano i 10 anni dalla mia nomina a Direttore Generale, anni in cui la Banca passò dai 17 miliardi di patrimonio del 1987 ai 350 miliardi di un decennio dopo. In quegli anni di forte ma armonica crescita, un punto qualificante fu quello di non perdere il radicamento locale, anzi si pose l’obiettivo di rafforzarlo ulteriormente. Nacquero così i Comitati Locali dei Soci, organismi di territorio deputati a gestire gli interventi di beneficenza e sostegno alle organizzazioni socialmente e moralmente impegnate nelle diverse aree di riferimento. Tali Comitati, ancora oggi pienamente attivi (la Banca ne ha istituiti ben 23) sono organi cui è demandato il compito di rappresentare e promuovere le istanze territoriali, fungendo da volano delle politiche di promozione e valorizzazione della progettualità sociale. Quella fine di anni ’90 ci vide protagonisti di una trasformazione senza precedenti nella storia del Paese: era davanti all’Italia l’obiettivo dell’euro. In tale prospettiva era prevedibile una maggiore integrazione e competitività delle economie e dei mercati finanziari con nuove implicazioni per le banche.
Per questo mi impegnai in una ulteriore e costante revisione della struttura, con modifiche organizzative che interessarono l’area affari, l’area finanza, il settore marketing e sviluppo, lo staff di Direzione Generale, con l’obiettivo di costruire la Banca di Credito Cooperativo degli anni 2000. Venne inaugurata allora la fase del “cambiamento continuo”, fase che non si è più arrestata. Ero comunque convinto che l’arrivo del XXI secolo, seppur nel clima maggiormente concorrenziale che si era venuto a creare negli anni ’90 come effetto delle riforme del sistema bancario, gli intermediari come BCC Roma, che fondavano il loro modo d’essere e operare sulla relazione e su valori forti, avrebbero avuto ancora spazio significativo. Sarebbe stato però indispensabile ricercare nuovi equilibri gestionali attraverso l’aumento dei volumi, il ricorso a economie di scala e il controllo dei costi. La relazione col cliente, fattore chiave del nostro successo, ero certo, ci avrebbe consentito di affrontare e vincere la sfida. Un altro fattore chiave dello sviluppo aziendale su cui puntai decisamente fu il traghettamento dalla cultura creditizia tradizionale a una moderna cultura bancaria. In questa direzione cercai di favorire costantemente l’amalgama delle risorse interne con nuove risorse specialistiche e l’osmosi tra anziani e giovani. All’inizio degli anni 2000, la Banca aveva superato i 7mila miliardi di lire di mezzi amministrati e il patrimonio si era incremento a 541 miliardi. La compagine sociale aveva superato le 10mila unità, con un aumento nel decennio di ben 8.678 Soci. La rete commerciale era passata da 19 a 73 agenzie, il personale era aumentato da 480 a 852 dipendenti. Una crescita impetuosa, ma sempre sotto il segno di una gestione prudente, che permise di affrontare sicuri dei nostri mezzi un mondo sempre più interconnesso e complesso. Il 12 aprile del 2000 il Consiglio di Amministrazione mi nominò Presidente della Banca. Ebbi così modo di coronare una carriera, all’epoca, di quasi quaranta anni all’interno dell’azienda dopo aver percorso tutte le tap- pe interne sino alla Direzione Generale. Mi ritrovai, in una nuova veste, a progettare di nuovo il futuro per la BCC di Roma, in una fase di rapida evoluzione del mercato in cui vi erano opportunità ma anche fattori di criticità da affrontare con decisione, coniugando le radici cooperative, che rimanevano fondamentali, alle esigenze di un’impresa che si doveva misurare con un contesto sempre più globalizzato e tecnologico. Una tappa fondamentale in questa direzione fu la migrazione nel nuovo sistema informativo di ISIDE, società promossa e partecipata da BCC Roma, dalla Federazione delle BCC Lombarde e dalla Federazione delle BCC Toscane, di cui assunsi la Presidenza che mantenni poi sino al 2016. Crebbero le relazioni istituzionali a riconoscimento del nostro ruolo acquisito di banca locale: fummo particolarmente gratificati dalla decisione del Comune di Roma, che il 20 ottobre del 2000 deliberava la partecipazione alla compagine sociale della BCC di Roma, facendo seguito a una collaborazione avviata con il varo di importanti programmi di recupero e riqualificazione urbana, incentivazione alle imprese, inclusione e assistenza sociale per le fasce deboli della cittadinanza, sviluppando anche una specifica esperienza nel campo del microcredito. Collaborazione che fu estesa alla Regione Lazio, alla Provincia di Roma e alla Provincia dell’Aquila, tutti enti divenuti poi nel tempo soci istituzionali con partecipazioni simboliche nella compagine cooperativa della Banca. Il 23 ottobre 2000, importante passaggio con l’inaugurazione – presente il Cardinale Vicario Camillo Ruini – della rinnovata sede di via Sardegna, che riportava la Direzione della Banca nel cuore di Roma. All’inizio del 2002, presentai un nuovo e importante strumento di comunicazione relativo all’attività mutualistica della Banca, che volli fortemente: il Bilancio Sociale e di Missione. Credevo, infatti, che l’ampia attività a favore delle comunità locali non potesse essere rappresentata pienamente soltanto con i numeri e grafici del bilancio tradizionale. Con questo nuovo strumento di comunicazione, veniva a confermarsi così l’impegno a tutto tondo per la nostra gente e tutti i portatori di interesse della Banca, i cosiddetti stakeholders. I soci, in particolare, potevano trarne elementi per una partecipazione sempre più informata alla vita aziendale. Il 12 dicembre 2003 un bellissimo ricordo personale: l’incontro con il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi insieme ai componenti del Comitato Esecutivo di Federcasse di cui facevo parte. In quell’occasione, Ciampi ricordò che i valori del Credito Cooperativo “trascendono il fatto economico per assurgere a elementi fondamentali dell’ordinato sviluppo della convivenza ci- vile e della maturazione di una coesione sociale fondata, soprattutto, sulla solidarietà e sulla partecipazione”.
Arriva così il 2004, l’anno del cinquantesimo anniversario dalla costituzione della Banca. Si trattò di una ricorrenza sentitissima, cui demmo grande importanza per alimentare la coscienza del percorso compiuto insieme a tanti soci e dipendenti nel segno della cooperazione: il 6 novembre, nell’Aula “Paolo VI”, in 7mila tra Soci e dipendenti, fummo ricevuti da Giovanni Paolo II, un evento straordinario a suggello del Cinquantenario: “questa vostra Banca è oggi notevolmente cresciuta – queste le parole che il Santo Padre ci rivolse – e tante prospetti- ve si aprono per il suo futuro. Auspico che essa possa proseguire nel suo cammino, avendo sempre presenti le esigenze del bene comune”. E concluse: “rendete un servizio di solidarietà e mutualità ispirandovi ai principi e agli insegnamenti della dottrina sociale della Chiesa”. Salutando il Pontefice, ricordai come l’insegnamento della Chiesa rimanesse un punto fermo di ispirazione e guida per la BCC di Roma: “la nostra scelta – dissi in quell’occasione – è quella di continuare ad assicurare il diritto al credito nelle periferie, nei piccoli paesi rurali e di montagna, dove è più alto il bisogno di assistenza”.
Il 27 novembre di quell’intenso 2004 presentammo in Campidoglio al Sindaco Walter Veltroni il volume Piccolo credito grande capitale, la storia dei 50 anni della Banca redatta da Pietro Cafaro. Presenti il Direttore Generale della Banca d’Italia Vincenzo Desario e, ancora una volta, l’affezionato Presidente del Censis Giuseppe De Rita. Per inciso, nel 2004 venni nominato Presidente della Federazione delle BCC di Lazio, Umbria, Sardegna, carica a tutt’oggi ricoperta. Nell’Assemblea sociale del 2005, quasi a fare un bilancio del primo quinquennio del XXI secolo, comunicai l’ulteriore costante crescita della compagine sociale, che aveva toccato le 13.962 unità, con un incremento del 4,2% rispetto al 2003. I mezzi amministrati superarono gli 8 miliardi di euro, il patrimonio era di 423 miliardi. Il 2006 segnò il ventennale della rivista trimestrale della Banca, la cui crescita avevo costantemente sostenuto. Nata nel 1986 per diffondere notizie sull’allora Cas- sa Rurale, il periodico “Credito Cooperativo di Roma” crebbe parallelamente allo sviluppo della Banca stessa, divenendone specchio fedele e volano della responsabilità sociale verso Soci e interlocutori istituzionali per renderli partecipi di tutte le iniziative messe in campo nel corso degli anni. Ero sempre più consapevole dell’originale identità di BCC Roma all’interno del più ampio sistema del Credito Cooperativo italiano e dell’esigenza di uno sviluppo organizzativo e commerciale della Banca idoneo a cogliere al meglio le mutevoli opportunità di mercato. La Banca si evolveva nell’ottica ormai conclamata del cambiamento continuo con progressive revisioni della struttura organizzativa, che portarono alla divisione in due grandi macro aree, la prima deputata al governo degli asset commerciali e la seconda al governo operativo, con il contestuale avvio del rafforzamento delle funzioni di controllo dei rischi in linea con l’evoluzione della normativa di Vigilanza. La crisi nel mercato dei mutui immobiliari americani emersa nell’estate del 2007, nel corso del 2008 si estese a tutto il sistema della finanza mondiale, ripercuotendosi sull’economia reale con sensibili rallentamenti produttivi, aumento della disoccupazione e calo generalizzato della domanda anche nel nostro Paese. Una crisi durissima che vide comunque BCC Roma in prima linea sul fronte del credito, senza mai “ritirare l’ombrello” a Soci e clienti anche nei momenti più bui. Arrivò così il 2009, che lasciò il segno soprattutto per il terremoto dell’Aquila. Una tragedia che colpì la Banca e me stesso nel cuore: lutto e devastazione in una cara città per legami e ricordi anche familiari. Mi mossi tempestivamente e il Consiglio di Amministrazione varò una serie di misure straordinarie per dare sollievo a So- ci, clienti e dipendenti così duramente colpiti. Si fece di tutto per tenere aperte le sette agenzie della Banca nell’area aquilana. Non solo: l’Assemblea sociale, su mia proposta, stanziò l’importò di 1,5 milioni di euro a vale- re sui fondi destinati a beneficenza per la ricostruzione di Palazzo Margherita, storica sede del Comune, che si cumularono allo scopo con altri 3,5 milioni raccolti da tutte le BCC italiane. Il primo decennio degli anni 2000 si chiuse con numeri ancora in crescita e i mezzi amministrati superaro- no i 12 miliardi di euro. Guardavo di nuovo al futuro e volli nel 2010 alla Direzione Generale un giovane estremamente promettente, Mauro Pastore, già Consigliere della Banca dal 1997 e poi Direttore Generale della Federazione BCC Lazio, Umbria, Sardegna. Nel 2011 arrivò la seconda fase della grande crisi finanziaria nel Paese che determinò conseguenze economiche che si conclamarono dal 2012 in avanti con un’al- tra profonda recessione, la seconda in cinque anni. In questa situazione, nonostante BCC Roma si trovasse in acque molto tranquille, con rapporti patrimoniali nettamente al di sopra dei minimi richiesti e una leva finanziaria contenuta (il rapporto impieghi-raccolta diretta era all’epoca pari al 75%), ebbi la consapevolezza, con il pieno supporto del Consiglio di Amministrazione, di mettere ulteriormente in sicurezza la Banca a fronte di ulteriori eventuali shock di sistema, varando un’operazione straordinaria di aumento del capitale sociale. Una delle prime operazioni di questo tipo nel nostro Paese per una cooperativa di credito. Grazie a questa operazione, sostenuta dai Soci cooperatori, la Banca aumentò il capitale sociale, costituito da azioni e sovrapprezzo, dai 15,5 milioni del 2012 ai 72 milioni del 2016. Una cifra importante, pari a oltre il 10% dei Fondi Propri che, nello stesso anno, avevano toccato i 715 milioni, e che è andata a costituire un cuscinetto di patrimonio utile a dare ancora più sicurezza a Soci, dipendenti e clienti della Banca. Il 2012 fu per me anche un anno di grandi soddisfazioni con il riconoscimento dell’onorificenza di Cavaliere del Lavoro, ricevuta al Quirinale dalle mani del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Una giornata indimenticabile per me e la mia famiglia, a suggello di una carriera di cinquant’anni nella Banca di Credito Cooperativo di Roma. Una sorta di sintesi della mia azione nell’attuazione della missione della Banca dapprima come Dirigente, poi come Direttore Generale e Consigliere Delegato e poi come Presidente della Banca stessa. Altro traguardo significativo fu per me nel 2013, nel cinquantesimo anno della mia attività nella cooperazione di credito, la nomina a Vice Presidente dell’Iccrea Holding, la finanziaria di partecipazione e coordinamento delle società prodotto del Gruppo nazionale del credito cooperativo. Venendo agli ultimi anni, si sono aperte sempre nuove frontiere di impegno per me e la Banca in un perdurante scenario di bassa crescita economica del Paese e, in particolare, nelle aree di riferimento. L’evoluzione normativa e della disciplina prudenziale è stata incessante, con continue esigenze di adeguamento. Di una cosa vado particolarmente fiero: grazie alla solidità della Banca, costruita in decenni di paziente lavoro di accantonamento degli utili a riserva indivisibile e rafforzata con l’operazione di aumento del capitale sociale, è stato possibile espandere gli impieghi creditizi dal 2008 al 2016 – anni difficilissimi – di oltre il 118%.
Non solo. La Banca, grazie agli assetti patrimoniali e alla collaudata struttura organizzativa, è potuta andare in soccorso di nuove consorelle in stato di crisi attraverso ulteriori operazioni di fusione o di acquisizione di rami d’azienda, uscendo con il pieno sostegno delle autorità di vigilanza dalle regioni di riferimento. In questa luce si inscrive la straordinaria operazione di acquisizione della ex BCC Padovana a fine 2015, una banca con 30 sportelli e 250 dipendenti. Il bilancio di quest’attività di supporto, in ottica di mutualità di sistema, ha consentito di cogliere un triplice obiettivo: assicurare la stabilità del risparmio e del credito locale, salvaguardare insegne e reputazione del credito cooperativo locale e nazionale e porre in atto una necessaria diversificazione territoriale della nostra attività. Con questa visione, la Banca ha realizzato dal 1991 al 2016 ben 22 operazioni di aggregazione acquisendo 66 nuovi sportelli e preservando quasi 500 posti di lavoro. Oggi BCC Roma è un’azienda bancaria di medie dimensioni e una delle più solide del Paese, con 182 sportelli, 1.494 dipendenti, oltre 18 miliardi di mezzi amministrati e 742 milioni di patrimonio, di cui il 40% libero. La nuova sfida per la Banca, dopo la riforma del Credito Cooperativo varata nel 2016 dal Governo e dal Parlamento, sotto la spinta delle Autorità monetarie nazionali ed europee, è la confluenza della Banca stessa nell’alveo di un grande Gruppo Bancario Cooperativo. Un passaggio obbligato dopo aver rinunciato, in piena consapevolezza e per motivi di coerenza storica e valoriale, alla trasformazione della Banca stessa, pure possibile, da cooperativa a società per azioni.
Il nuovo obiettivo mio personale, del Consiglio di Amministrazione, del management aziendale tutto, è quello di traghettare BCC Roma nel nuovo Gruppo Bancario Cooperativo che va coagulandosi intorno a Iccrea Banca, confermandosi nel ruolo di riferimento per il sistema del credito cooperativo italiano.