Giornalismo finanziario ed economia di Rosario Dimito

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Tratto da “ Lessico Finanziario “ di Beppe Ghisolfi – ARAGNO Editore
(Capo Redattore Economia e Finanza de Il Messaggero)

In un’epoca di comunicazioni in diretta, non è un compito facile per un giornalista tradizionale della carta, riuscire a fare bene il proprio mestiere, senza ripetere quello che i lettori hanno già letto sui siti. Forse per chi scrive di finanza il rischio di arrivare dopo è limitato ma richiede uno sforzo supplementare per raccogliere “scoop” che reggano alla concorrenza on line. E comunque è molto delicato catturare informazioni che siano al tempo stesso, vere e attendibili pur essendo spesso fluide perchè intercettate nel loro cammino, sovente “borderline” perchè riguardano società quotate i cui titoli potrebbero essere influenzati dalla diffusione anticipata di indiscrezioni e, proprio per questo c’è il rischio di mandare in fumo certe operazioni con la conseguenza di pregiudicarsi certe relazioni. Quasi sempre l’esperienza ti aiuta a districarti tra i vari paletti e a non commettere passi falsi che possono diventare bucce di banana. L’esperienza è la chiave che mi guida a capire, al di là di tutto, quando una notizia è più o meno vera (poi non è detto si realizzi) e può essere diffusa. Ci vuole come in tutte le cose, una componente di fortuna come quando giovedì 23 maggio 2002, lavoravo a MF-Milano Finanza, e chiamai uno dei capi supremi di una delle grandi banche italiane.

Una delle tante telefonate che, ancora oggi, faccio a tappeto, presso i banchieri a caccia di notizie. Mi rispose la segretaria che mi conosceva e, dopo un iniziale saluto, prima ancora di farmi parlare, mi chiese di attendere, ma per un errore tecnico o una disattenzione, non mise in stand by la telefonata con il sottofondo di musichetta. Rimasi in ascolto e percepii che, parlando da un’altra linea, probabilmente con uno dei manager di quell’istituto, spiegava che il Dottor Pinco Pallino non era in sede. «È in una riunione urgente con le altre grandi banche, per discutere della situazione debiti della Fiat, – ascoltai in modo nitido come se stesse parlando con me – mi ha detto di riferirle che al termine la mette- rà al corrente delle trattative: da adesso in poi ci sarà da lavorare pancia a terra». La segretaria, ripresa la conversazione con me e ignara di avermi dato involontariamente una grossissima notizia, mi rispose che mi avrebbe fatto richiamare dal mio interlocutore appena possibile. C’è da dire che erano più o meno le 19, mi misi a trovare conferme presso altri, partendo dalla certezza della notizia. La conferma arrivò subito dopo, interpellando il direttore finanziario di un’altra delle grandi banche coinvolte: quando si rese conto che ero a conoscenza del negoziato agli albori per trovare una soluzione ai circa 35 miliardi di debiti lordi con sforamento dei covenants, mi raccontò che una delle ipotesi di lavoro sul tavolo era di varare un convertendo da 3 miliardi che in estate fu effettivamente lanciato: questa era l’idea di Matteo Arpe, all’epoca AD di Banca di Roma. Devo aggiungere che nella tarda serata il banchiere che suo malgrado mi ha messo sulla pista giusta, mi richiamò. Io sicuro esordii dicendogli: so che ha partecipato a un summit per avviare i lavori per il convertendo Fiat da 3 miliardi.

Che durata avrà l’operazione 3 o 5 anni e il tasso? Lui rimase inizialmente senza parole ma poi dovette ammettere che la riunione c’era effettivamente stata.
MF fu il primo quotidiano italiano a uscire il giorno dopo con la notizia che ebbe un comprensibile impatto sui mercati e sull’opinione pubblica: fu l’inizio di uno dei periodi più infuocati della mia carriera, una fase della vita professionale appassionante che ricordo come fosse stata la settimana scorsa. Poi ci sono state altre vicende affascinanti che hanno contribuito a farmi le ossa, anche perché ero all’inizio della carriera giornalistica partita a settembre 1989 dopo un’esperienza presso una piccola banca pugliese. Ricordo il crac Ferruzzi del maggio 1993 la cui risoluzione si protrasse per alcuni anni. All’epoca non avevo grandi fonti ancora, essendo appunto alle prime armi. Dopo il varo della ristrutturazione fatto dagli Amministratori Delegati delle cinque grandi banche italiane, l’execution del piano venne affidato agli ope- rativi. Venni a sapere di un incontro tenutosi a Milano presso la sede di Mediobanca aperto alle banche estere che inizialmente si erano messe di traverso. Mi armai di coraggio e di faccia tosta, chiamando il rappresentante di uno dei maggiori istituti italiani. Erano circa le 18,30, chiamai presso la sede della banca chiedendo chi avesse partecipato alla riunione. L’anonimo interlocutore con- fuse la mia voce con quella del rappresentante di una banca estera con cui aveva – evidentemente – un appuntamento telefonico per proseguire il confronto sul piano. Ebbi solo l’astuzia di stare al gioco quando dall’altra parte del telefono il “collega” entrò subito nel merito, riepilogando per sommi capi i termini della discussione. Il punto controverso era la rinuncia a una parte dei crediti vantato da alcune società operative. Fu una conversazione memorabile, stavo attento a non fare passi falsi con dichiarazioni che mi avrebbero tradito. Al termine della chiacchierata, il “collega” mi fornì il suo cellulare: eravamo nell’era paleolitica con apparecchi ingombranti che servivano solo per telefonare. Io non ebbi il coraggio di dargli il mio numero vero.