Giuseppe Castagna

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Tratto da “ Banchieri “ di Beppe Ghisolfi – ARAGNO Editore

Amministratore Delegato di Banco BPM

Sono nato a Napoli il 21 febbraio 1959, ultimo di tre figli. I miei ricordi di bambino e ragazzo sono soprattutto legati al nuoto e alle lunghe giornate passate in piscina. La mia famiglia non era particolarmente sportiva, ma la pratica dello sport era comunque vista positivamente, come modo per formare noi figli alle sane e concrete regole di una vita in cui disciplina e spirito di sacrificio fossero considerati dei valori importanti da cui non po- ter prescindere. In un certo senso, l’attività sportiva era un impegno – seppur meno pesante di un lavoro vero – da affiancare ai doveri scolastici: “farlo bene” era dato quasi per scontato. Anche mio fratello Maurizio, più grande di me di cinque anni, nuotava e cominciava a riscuotere i primi successi a livello nazionale. Era quindi naturale che io se- guissi le sue orme con lo stesso impegno e posso dire di essermela cavata bene anch’io. I buoni risultati e la passione per il nuoto sono sempre stati di grande stimolo, contribuendo a farmi gestire meglio la pressione e a non percepire particolare sacrificio nel dover trascorrere gli anni della gioventù rinunciando ai sabati, alle domeniche e alle vacanze estive, che di solito erano impegnati per le gare. Le mie vacanze si limitavano al massimo ai primi quindici giorni di settembre quando si chiudeva la stagione agonistica e prima che ricominciassero la preparazione per quella successiva e, ovviamente, l’anno scolastico che, all’epoca, fortunatamente cominciava a ottobre. Questo spiega il fatto che i miei più cari amici di oggi siano rimasti quelli dello sport. Con loro infatti si è creato un filo invisibile, ma molto forte, fatto di passione, sentimenti e visione della vita, che ci lega ancora dopo oltre 40 anni. Un ulteriore importante momento formativo cui mi hanno portato i quindici anni di nuoto agonistico è sta- to aver potuto svolgere il Servizio Militare nel Gruppo Sportivo dei Carabinieri, dove mi sono arruolato all’età di 18 anni raggiungendo così tre obiettivi: guadagnare il mio primo stipendio fisso, proseguire gli studi alla facoltà di giurisprudenza di Napoli e, soprattutto, continuare a nuotare a livello competitivo. Avevo già collezionato una decina di titoli italiani nei 100 e 200 m delfino, ma con l’Arma ebbi la possibilità di avvicinarmi alla specialità che forse, ancora oggi più di allora, mi ha dato soddisfazioni personali, mi ha consentito di modellare la mia personalità, confrontarmi con i miei limiti e, probabilmente, rafforzare il mio carattere anche per la mia vita da adulto: la maratona di nuoto di Gran Fondo. La prima fu la Coronda-Santa Fe, la gara acquatica più lunga del mondo, 56 km nel Rio Paranà, in Sud America. Fortunatamente la gara si svolgeva in favore di corrente…
Come tutti i nuotatori di piscina, ero abituato, in estate, ad allenarmi per 10/15 km al giorno. Affrontare una maratona di 56 km rappresentava però una sfida completamente differente e metteva in discussione tutto quanto fatto fino a quel momento. Anni prima mio fratello Maurizio aveva già partecipato con grande successo alla maratona più famosa del circuito e, certamente, la più rappresentativa per noi napoletani: la maratona del Golfo di Capri-Napoli, traversata in mare lunga 36 km. Alla fine fu una grande soddisfazione poter concludere la mia prima maratona in 8 ore e 50 minuti, classificandomi sesto assoluto e primo degli europei e nei dilettanti, la categoria di chi si cimentava per la prima volta in una maratona long distance del circuito internazionale. Tale fu la sorpresa che un giovane esordiente in una gara tanto impegnativa potesse classificarsi così bene, che mi fu conferita la cittadinanza onoraria nella città di Santa Fe, dove la comunità di emigrati di origine italiana era veramente numerosa. In seguito, avrei partecipato alle altre tre più impor- tanti maratone natatorie del mondo: quella del Nilo, 42 km di cui metà contro corrente, del Canale di Suez e la stessa Capri-Napoli. Ovviamente, intanto, trovavo il tempo per studiare, tra un allenamento e l’altro e le ore di servizio per l’Arma. Durante i tre anni di Servizio Militare ero riuscito an- che a completare il triennio all’università, dove, a dire il vero, mi presentavo soltanto per sostenere gli esami. No nostante la scarsa frequenza, riuscivo a prepararmi bene e a conseguire dei risultati lusinghieri. Mi sarebbe piaciuto continuare per un altro anno la ferma militare così da arrivare alla laurea, ma proprio prima di prendere questa decisione, due eventi mi fecero cambiare programma: una brutta infezione tropicale presa durante le undici ore di maratona nel Nilo e l’improvvisa scomparsa di mio padre. La mia famiglia decise che, a questo punto, sarebbe stato più sicuro per me trovare un vero lavoro. Nonostante avessi solo 21 anni, pensai anch’io che fosse giusto iniziare ad affrontare la vita reale e smettere di fare cose che, nella mia testa, erano legate più all’adolescenza che alla vita da adulti. E così, benché avessi intrapreso gli studi in Legge con il desiderio di diventare magistrato, colsi l’opportunità offertami dai Carabinieri di fare un colloquio con una banca prestigiosa, la Banca Commerciale Italiana. Fu una vera sorpresa quando, nonostante mi man- cassero ancora cinque esami per laurearmi, mi venne proposta l’assunzione immediata. Sinceramente, solo oggi riesco a capire meglio cosa i dirigenti della Comit avessero intravisto in un giovane con un curriculum di studi certamente non tipici del bancario (prima di Giurisprudenza avevo conseguito la maturità classica), ma con esperienze così impegnative alle spalle. Entrai in Comit pensando di prendere la laurea nel più breve tempo possibile per dedicarmi poi al concorso in Magistratura e così mi laureai nel successivo 1982 a 23 anni, con il massimo dei voti e la lode. Nel frattempo, in quei primi anni di esperienze nella gloriosa vecchia Comit, in giro per numerose filiali sparse in tutta Italia, mi resi invece conto che quel mestiere mi piaceva molto e che avrei voluto provare ad andare avanti ancora un po’ per capire se le mie impressioni iniziali si sarebbero ulteriormente rafforzate. E così, dopo 37 anni, sono ancora qui!
Intanto, nella mia vita “accelerata”, se confrontata con le abitudini di oggi, a 26 anni sentii che era tempo di sposarmi e costruire una famiglia. In pochi anni arrivarono le mie prime due figlie, Eloise e Charlene, i cui nomi francesi sono dovuti a mamma Florence. Oggi sono due splendide ragazze di 27 e 23 anni e, come tanti altri ragazzi della loro generazione scelgono di andare all’estero, lavorano una in Australia e l’altra a Londra. Dopo la loro partenza, con Alessandra, la compagna della mia vita da oltre dodici anni, abbiamo deciso di rallegrare la nostra casa diventata troppo vuota. L’arrivo della piccola Emma, che oggi ha quasi sei anni, è stata la nostra più grande gioia di questi anni. Tornando al mio impegno nel mondo bancario, fino al 2009 mi sono sempre occupato di business e, in particolare, di corporate. Il lavoro con le aziende è stato la mia passione professionale più grande e, sinceramente, pensavo sarebbe rimasto sino alla fine della carriera. In Intesa Sanpaolo ero diventato il responsabile Mid e Large Corporate, oltre che della rete Corporate estera con le sue filiali e gli uffici di rappresentanza. Dal 2000 al 2009 avevamo costruito e rafforzato in Italia una struttura senza uguali che dava filo da torcere alle grandi banche d’affari internazionali e costituiva un supporto fondamentale per il mondo delle imprese italiane. A settembre 2009, il mio capo Gaetano Micciché mi disse che il CEO Corrado Passera aveva desiderio di parlarmi per offrirmi un incarico molto particolare. A tutti avrei pensato meno che alla proposta di andare a guidare la Banca Territoriale più grande e importante del Gruppo, cioè il Banco di Napoli che, a suo avviso, necessitava di una svolta con una guida che sapesse capire il mondo del Sud. Per me fu uno shock. Non so chi mi diede il coraggio di accettare se non, da un lato, il mio spirito di servizio verso l’azienda – avevo infatti chiaro con me stesso che il “no” non fosse una risposta possibile – e, dall’altro, il desiderio di restituire qualcosa alla terra che avevo lasciato 30 anni prima e cercare di dare un contributo diretto allo sviluppo di un territorio molto svantaggiato, a mio avviso anche per la presenza non sempre convinta del sistema bancario. Sono stati tre anni straordinari in cui ho conosciuto colleghi e imprenditori di grande qualità e spessore professionale che mi hanno dimostrato, una volta di più, quanto inaccettabili e privi di senso siano tanti stereotipi ancora purtroppo utilizzati nei confronti di chi opera con impegno, dedizione e determinazione nel Sud del nostro Paese. Gli ultimi risultati del Banco di Napoli convinsero i vertici di Intesa Sanpaolo a promuovermi Direttore Generale del Gruppo come responsabile del mondo retail, quello che va sotto il nome di Banca dei Territori. Purtroppo, la favola di chi ha scalato tutti i gradini della Banca, da impiegato a Direttore Generale, è durata poco. Nel giugno del 2013, in disaccordo con l’allora Amministratore Delegato del Gruppo, fui costretto ad an- darmene da un giorno all’altro, dopo 33 anni di fortunata carriera. Se mi soffermo su questo particolare poco felice è solo per dire che nel corso di una carriera professionale episodi inattesi e spesso immeritati talvolta capitano: accettarli con serenità è l’unico antidoto all’amarezza e al dispiacere che possono procurare. In quell’estate ho fatto l’unica vera vacanza della mia vita, oltre due mesi e mezzo, da giugno a settembre, godendomi la mia bimba di un anno e mezzo e un po’ di meritato riposo. Dopo un’interessantissima parentesi di poco più di quattro mesi, dedicata a lanciare il primo e ancora oggi più importante fondo italiano di Private Debt per il gruppo americano di George Muzinich, ho ricevuto la possibilità di tornare nel mondo delle banche a seguito della crisi che intanto si era ormai conclamata nella Banca Popolare di Milano. Sono stato nominato Consigliere Delegato di BPM il 17 gennaio del 2014 che, in quell’anno, ironia della sorte, cadeva proprio di venerdì…
Un’esperienza nuova e diversa che mi ha visto al vertice di quella che era una delle principali banche popolari del nostro Paese. Una banca con cui avevo già avuto un avvicinamento nel dicembre 2011 quando l’allora Presidente del Consiglio di Gestione, Andrea Bonomi, mi aveva chiamato per valutare la possibilità di lavorare insieme. In quell’occasione vinse il desiderio di proseguire la mia attività nel gruppo Intesa, ma evidentemente il destino verso Piazza Meda (sede della BPM) era già tracciato. I tre anni in BPM sono stati particolarmente intensi sia dal punto di vista professionale sia da quello personale. I ricordi sono tanti e ancora troppo freschi perché possa raccontarli in maniera distaccata. Preferisco quindi evitare di essere prolisso, caratterizzando ogni anno come segue. Il 2014 è stato l’anno di turnaround e di crescita, che ha visto il rilancio di BPM. Il 2015 è stato l’anno delle celebrazioni per il 150esimo anniversario della fondazione. Da ultimo, il 2016 l’anno in cui si è lavorato per avviare il processo di fusione con Banco Po- polare. Insieme a Pierfrancesco Saviotti siamo riusciti a inau- gurare la stagione delle aggregazioni bancarie. Quella tra BPM e Banco Popolare è stata infatti la prima e, al momento, unica fusione italiana, avvenuta esattamente dieci anni dopo quella tra Banca Intesa e San Paolo Imi. Siamo entrambi orgogliosi di aver avuto la visione che la riforma delle popolari fosse un’opportunità per consoli- dare il nostro sistema bancario, immobile da tempo. Banco BPM, la terza banca del Paese, è operativa dall’1 gennaio 2017 e per me è davvero un onore poter- ne essere l’Amministratore Delegato. Ma questa è una storia in corso che racconterò se qualcuno avrà ancora interesse a chiedermela in un prossimo episodio. Mi sembra però giusto chiudere questo capitolo così lungo e importante di una vita così fortunata, ringrazian- do di cuore le tante persone che in famiglia, nello sport e in questi 37 anni di banca hanno creduto in me e, con il loro affetto, il loro impegno, le loro appassionate idee, hanno consentito di scrivere queste poche, ma per me entusiasmanti pagine, della vita speciale di una persona normale.