I deputati ora vogliono lavorare da casa col televoto

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Sono arrivati a 106. Sono i deputati che vorrebbero il «televoto», cioè modificare il regolamento della Camera per approvare o bocciare i provvedimenti da casa, senza dover raggiungere il Parlamento. Ripetono che l’emergenza Covid ha colpito anche loro e snocciolano i dati della «quarantena fiduciaria» che solo pochi giorni fa ha tolto ben 45 voti alla maggioranza. Sono quasi tutti deputati di Pd, M5S e Leu a sostenere la modifica ma negli ultimi giorni anche alcuni eletti dell’opposizione hanno sposato la battaglia. A tenerne il conto è l’esponente Dem Stefano Ceccanti, capogruppo in commissione Affari costituzionali, promotore dell’iniziativa presentata alla presidenza dell’assemblea di Montecitorio il primo ottobre. Tra i firmatari ci sono 102 rappresentanti dei partiti che sostengono il governo Conte (soprattutto Dem), ma anche quattro esponenti del centrodestra, pure se i leader Matteo Salvini, Giorgia Meloni e Antonio Tajani si sono schierati contro l’ipotesi di votazioni da remoto. Eppure Marza Ferraioli, Guido Della Frera, Fucsia Fitzgerald Nissoli e Guido Germano Pettarin (tutti di Forza Italia) hanno espresso la loro contrarietà alla linea del partito ribadita due giorni fa dal vicepresidente Tajani: «Il Covid colpisce tutti, non è che va a cercare i partiti di sinistra e non quelli di centrodestra.
Anche nel Parlamento europeo c’è il voto a distanza, con la semplice differenza che lì vengono parlamentari da tutta l’Europa e anche da realtà dove c’è una percentuale di contagio altissima e sarebbe pericolosissimo viaggiare. Quindi si tratta di una situazione ben diversa dalla nostra». Sostengono la proposta Ceccanti pure Alessandro Fusacchia e Riccardo Magi di Più Europ a e dieci parlamentari del Gruppo Misto. Ceccanti assicura che la richiesta «serve non a imporre una soluzione, ma a velocizzare un dibattito e una decisione responsabile» e avverte: «Mentre appare più che opportuna una discussione pragmatica su come possano lavorare a distanza i parlamentari impossibilitati (per quali votazioni, in quali condizioni, su decisioni di quali organi) è un errore continuare a porre pregiudiziali sul se introdurre questa innovazione perché ciò significa prescindere dal principio di realtà».
Il centrodestra non ne vuole sentire parlare. Matteo Salvini è stato il primo a bacchettare la maggioranza giallorossa, sottolineando che il problema delle assenze in Aula dei parlamentari in quarantena e il rischio di far mancare il numero legale su provvedimenti governativi importanti come quelli che riguardano il bilancio dello Stato, «si risolve lavorando». La deputata di FI Deborah Bergamini se la prende con i grillini: «Siamo all’assurdo. I 5 stelle, per voce del ministro D’Incà, si sono detti contrari al voto a distanza dei parlamentari. In pratica si può votare online su Rousseau, ma non in Parlamento. Chissà perché…Forse gli unici voti online che vogliono sono quelli che piacciono a loro e che possono controllare». Proprio il ministro D’Incà ribadisce: «Sono contrario al voto a distanza perché le deliberazioni in Parlamento sono anche frutto di confronti e scambi d’opinione in presenza. Credo però vada fatta una riflessione per evitare di paralizzare il Parlamento».
Ma Stefano Ceccanti non si dà per vinto: «Il computo degli impediti tra gli assenti giustificati ha per il momento risolto il problema del numero legale, ma non siamo purtroppo sicuri che questo rimedio possa essere sufficiente nelle prossime settimane, col rischio di determinare un grave squilibrio istituzionale».
Un tema rilevante secondo l’esponente del Pd: «Il Governo, infatti, a causa della maggiore informalità delle sue procedure, è comunque in grado di operare, mentre il Parlamento no. Ma anche se non ci fosse un problema generale di numero legale, resta quello dei quorum previsti dalla Costituzione, a cominciare da quelli sull’autorizzazione al debito (articolo 81) e da quelli sulla revisione costituzionale (articolo 138) che potrebbero essere non raggiunti a causa degli impedimenti». Non solo. «C’è poi anche il problema di maggioranze casuali che potrebbero essere determinate a causa di impedimenti maggiori o minori nei vari gruppi, di maggioranza o di opposizione – aggiunge Ceccanti -. Per queste ragioni sarebbe necessario accelerare il confronto su questi temi». Dal canto suo, il presidente della Camera, Roberto Fico, ha ribadito: «Fin dall’inizio della pandemia, stiamo facendo il massimo per fronteggiare l’emergenza e garantire la sicurezza a tutti i lavoratori della Camera e ai parlamentari, coniugando questa necessità con la continuità dell’attività legislativa. Ci muoviamo da marzo in questo equilibrio. Finora le cose sono andate bene e non ci sarà nessuna chiusura».