Il Pnrr è una grande occasione ma sul lavoro bisogna fare presto e di più

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Il Piano nazionale di ripresa e resilienza che è stato consegnato a Bruxelles qualche giorno fa rappresenta la più grande iniezione di risorse per investimenti degli ultimi decenni

Per il nostro paese, che è il maggiore percettore delle risorse di NGEU, una occasione irripetibile e da non sprecare. Irripetibile per affrontare la crisi sociale legata agli effetti della pandemia, per rispondere alle disuguaglianze sociali e territoriali che si sono aggravate durante gli ultimi 15 anni e per “agganciare” i due grandi processi di trasformazione economica dei prossimi dieci anni, vale a dire la digitalizzazione e la riconversione green.

La matrice di questi grandi obiettivi dovrà essere la capacità di generare lavoro. Nel 2021, sono oltre 2 milioni 486 mila le unità di lavoro perdute (oltre 4 miliardi di ore lavorate in meno). Secondo l’indagine Istat sulle forze di lavoro, a un anno dal primo lockdown si contano 945 mila occupati in meno, 21 mila disoccupati e 717 mila inattivi in più. Va ricordato che ad aver perso per primi il posto di lavoro sono stati i lavoratori a termine, precari e gli indipendenti, soprattutto giovani e donne.

Oltre a un tasso di disoccupazione tra i più alti fra le principali economie avanzate già prima dell’emergenza pandemica, l’elevato tasso di inattività anche in età di lavoro, lo scoraggiamento e la disoccupazione di lunga durata, la sottoccupazione e l’eccessiva incidenza dei part-time involontari, le troppe forme di precarietà e il lavoro irregolare, il record europeo di NEET richiedono un intervento per aumentare e qualificare l’occupazione nel nostro Paese. In sintesi, abbiamo un problema strutturale di quantità e qualità dell’occupazione. Affermare la necessità di un nuovo modello di sviluppo, come ha fatto in questi mesi la CGIL, significa ripartire dal lavoro, la sua tutela la sua creazione e i suoi diritti.

Il primo interrogativo è quindi se il PNRR risponda adeguatamente a queste necessità. Il Piano si pone obiettivi sul versante quantitativo – il numero di occupati aggiuntivi aumenterebbe di 0,7 punti percentuali nel 2021 per poi accelerare di 2,2 punti nel 2022 e raggiungere i 3,2 punti medi aggiuntivi ogni anno nel periodo 2023-2026–ambiziosi ma manca una analisi adeguata e politiche coerenti sul versante del contrasto alla precarietà. La novità contenuta nel PNRR è rappresentata da una condizionalità specifica dirette a finalizzare l’esecuzione dei progetti all’assunzione di giovani e donne. Tale condizionalità, fatte a più riprese dalla CGIL e non solo per il PNRR, è sicuramente importante ma deve essere accompagnata da obiettivi cogenti anche qualitativi e da vincoli effettivi.

Le misure che si richiamano direttamente alle tre trasversalità (giovani, donne e sud) sostanzialmente sono affidate alla fiscalità di vantaggio. Su decontribuzione e dintorni abbiamo notevoli perplessità sia perché non hanno dimostrato l’effetto leva auspicato nel corso degli anni in particolare su giovani e donne, sia perché se non accompagnate a interventi sul versante della qualità del lavoro rischiano di mantenere precarietà e marginalizzazione. Di questo il Piano non parla. Invece qualche livello di preoccupazione deriva dalle riforme annunciate a partire dalla revisione del Codice degli appalti che potrebbero rischiare di peggiorare la regolamentazione del sub appalto con il ritorno del criterio del massimo ribasso.

Le scelte poi di impostazione del Piano sembrano maggiormente orientate verso il mercato quale principale regolatore dell’economia. Scelta, che sul lato lavoro è anticipata dal Documento di economia e finanza dove si legge “che il mercato del lavoro funzioni più efficientemente e sostenere il ricollocamento dei lavoratori.” E’ un impostazione che in questa fase rischia di fa commettere al nostro Paese gli errori del recente passato. Serve un ruolo protagonista dello Stato che deve dotarsi di strumenti di governo che consentano di ricostruire le filiere produttive indicando le priorità e determinando le necessarie sinergie.

Ciò vale anche e soprattutto per il lavoro. Per affrontare l’emergenza economica e sociale tale ruolo deve essere agito attraverso una garanzia pubblica, ovvero lo Stato sia garante di ultima istanza per la generazione del lavoro necessario. Solo così il PNRR potrà concorrere agli obiettivi di un Piano per la piena e buona occupazione, di cui il nostro paese si deve dotare con rapidità. Rapidità determinata in primo luogo dai tempi dello stesso PNRR. Sappiamo che l’impatto sull’occupazione degli investimenti del PNRR avverrà nel medio periodo.

Ma i prossimi mesi saranno difficilissimi: ci sono risposte che non possono attendere. Oltre alla proroga del blocco dei licenziamenti, abbiamo una straordinaria necessità di strumenti di tutela come la riforma degli ammortizzatori, di politiche attive efficaci e di un sistema strutturato ed esigibile per tutti di formazione permanente e continua che consenta di non alimentare ulteriori divari e cesure – in questo caso di competenze e conoscenze – in relazione alle grandi trasformazioni economiche e del lavoro. E in questo quadro contrasto alla precarietà e rafforzamento della contrattazione attraverso una legge sulla rappresentanza sono gli altri due nodi che determinano la qualità dell’occupazione.