Il sentiero dell’arte questa volta è irto, se lo si affronta a piedi, magari con uno zaino in spalla, ma anche dolce per vastità e morbidezza.
Senz’altro è remoto. L’idea di un’opera segreta con il suo cammino impervio e solitario è radicata in questa prima tappa della neonata Fondazione Beatrice Trussardi, un’apparizione su un sentiero di montagna nell’Engadina. Siamo in un piccolo Eden, come scriveva Nietzsche, innamorato di quei monti, dove ha passato le estati più prolifiche ed esaltanti, “dove il cielo è sempre allegro”, scriveva, prima che le nuvole del Maloja lo avvolgessero in una nebbia densa. Siamo nel vasto scenario che si apre a Sud del borgo di Sils Maria, un luogo mitico per la cultura del Novecento, che ha accolto Nietzsche, Rilke, Proust, Segantini, Hesse e molti altri.
Ci attende un cammino silenzioso nella riserva naturale della Val Fex, dove è vietato l’accesso ad auto e moto. Il tragitto da 1.800 conduce a 2.000 metri, breve fatica prerogativa all’incontro con l’opera, un’installazione di Pawel Althamer da scovare in un piccolo alpeggio in pietra intatto dal XVII Secolo, per sole capre che qui trovano refrigerio d’estate. L’arte entra in strettissimo dialogo con la cornice. Lontani dalle sovrastrutture della città e dalle geografie dell’arte, si concretizza una convivenza mimetica, tra arte e natura, con un uomo a fare da testimone solitario e silenzioso. È questa la prima mossa della Fondazione sullo scacchiere internazionale, anche se internazionali sono in fondo sempre state le scelte nella sua storia milanese, con la Fondazione Nicola Trussardi.
La formazione è la medesima. Il presidente è Beatrice Trussardi; e il suo direttore Massimiliano Gioni. La strategia resta adattativa e nomade, da incursione imprevedibile. E in fondo, anche l’artista chiamato a intervenire, Pawel Althamer, è già di famiglia, quando nel 2007 faceva volare le sue nudità, in un’eroica versione paradossale da un pallone gonfiato di venti metri sul Parco Sempione. L’autoritratto aereostatico faceva da contraltare alle sculture scavate e ascetiche che popolavano le sale neoclassiche dell’Arena di Milano. L’esperienza, appena inaugurata in Engadina dalla Fondazione potrebbe evocarle, ma la scelta di questo nascondiglio tra i monti per un’opera d’arte pubblica ci dice però molto dello spirito del tempo, riservato, quieto, intimista, anti-mondano, in cui gli unici lussi rimasti sembrano essere la libertà e la natura. L’uomo resta al centro della sua opera, quindi, ma le modalità sono distanti.
La distanza tra quel volo monumentale e pop sulla Milano da bere accanto al richiamo all’ascetismo nelle montagne più idealizzate del Novecento, fa riflettere. Ma in fondo l’opera di Althamer è sempre stata profondamente esistenzialista e spirituale. Tratteneva oggi come ieri un dialogo tra uomo e natura, come racconta il suo lavoro tra i monti, un soggiorno di settimane in cui ha camminato al mattino e lavorato al pomeriggio. Rispettoso è l’incontro con la micro comunità del luogo. I bimbi creano con lui forme in creta che asciugano al sole. Lo spirito collaborativo è tipico del suo lavoro. Le tracce della sua opera sono da cercare dentro e fuori a questi spazi umili. Il contrasto di luce acceca, come accadrebbe nell’approssimarsi sorprendente alle cappelle dei Sacri Monti.
Ci vuole qualche secondo per adattarsi alla penombra e scorgere un corpo nudo a grandezza naturale. È San Francesco, scavato nella carta pesta. Sul volto germogliano muschi, terriccio, fiori. Ha sguardo febbrile che punta al cielo. Le capre gli scalciano e brucano attorno. Sono indifferenti a tutto: all’uomo, alla sua spiritualità, all’ascesi, al richiamo alla modestia come unica via possibile, un po’ come indifferente è la natura, uno scenario che ha ben dimostrato di non aver alcun bisogno di noi per esserci ed essere vitale. «In fondo qui siamo solo ospiti», ci sorride Althamer, pellegrino meditabondo dallo sguardo pacato e saggio, che in un’epoca, di cui non conosciamo ancora le prospettive, ci porta di nuovo a guardare verso il cielo.


