Le amate sponde d’Italia minacciate da erosione, cemento e clima impazzito

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Estate, tempo di vacanze, di sole, di mare. Tempo di spiagge, insomma. La Penisola ne è ricca. Per questo sono prese d’assalto da orde di turisti e bagnati di tutte l’età. Ma, la domanda sorge spontanea: in che condizioni sono le nostre amate sponde? La risposta c’è ed è qualificata. Viene dal Rapporto ‘Spiagge 2019’ di Legambiente che fotografa la situazione complessa e variegata dei 3.346 km di coste sabbiose italiane. “Un Paese – spiegano gli ambientalisti – dove le spiagge libere sono spesso un miraggio, quelle presenti sono il più delle volte di serie B e poste vicino a foci dei fiumi, fossi o fognature dove la balneazione è vietata. A ciò va aggiunto l’impatto che ormai i cambiamenti climatici, l’erosione e il cemento selvaggio stanno avendo sulle coste ridisegnandole, il problema dell’inquinamento, l’accessibilità negata e quello delle concessioni senza controlli. Dall’altra parte aggiungono – in questi anni lungo il nostro litorale si è registrato un grande fermento green che punta, in maniera sempre più concreta, sulla sostenibilità ambientale, su un impegno plastic-free e sulla difesa della biodiversità come testimoniano le numerose storie selezionate in questo report e l’esperienza avviata attraverso il marchio ‘Ecospiagge per tutti’”. Venendo ai dati del report, scopriamo che in Italia sono ben 52.619 le concessioni demaniali marittime, di cui 11.104 sono per stabilimenti balneari, 1.231 per campeggi, circoli sportivi e complessi turistici, mentre le restanti sono distribuite su vari utilizzi. Complessivamente, si può stimare che le concessioni relative agli stabilimenti e ai campeggi superano il 42% di occupazione delle spiagge, ma se si aggiungono quelle relative ad altre attività turistiche si supera il 50%. In Liguria ed Emilia-Romagna, ad esempio, quasi il 70% delle spiagge è occupato da stabilimenti, in Campania è il 67,7%, nelle Marche il 61,8%. In alcune aree il continuum di stabilimenti assume forme incredibili, come in Versilia, dove sono presenti 683 stabilimenti sui 1.291 dell’intera regione.

Non mancano poi – secondo il report – situazioni d’illegalità come il caso di Ostia, nel Comune di Roma, o quello di Pozzuoli dove muri e barriere impediscono addirittura di vedere e di accedere al mare, o di dune sbancate nel Salento per realizzare parcheggi e tirare su stabilimenti balneari. Non dimentichiamo, inoltre, che quasi il 10% delle coste è interdetto alla balneazione per ragioni d’inquinamento. Complessivamente, si può dire che nel nostro Paese la spiaggia libera e balneabile si riduce mediamente al 40%, con situazioni limite in Emilia-Romagna, Campania, Marche, Liguria, dove trovare spiagge libere e balneabili è un “terno a lotto”.
“Con questo dossier – spiega Edoardo Zanchini, vicepresidente nazionale di Legambiente – vogliamo contribuire a costruire un dibattito sullo stato di salute delle coste italiane all’altezza delle sfide che avremo di fronte nei prossimi anni. L’errore che non va commesso è quello di continuare ad affrontare gli argomenti separatamente, inseguendo la cronaca nel periodo estivo dei danni da cicloni o erosione, di spiagge libere e in concessione (con le polemiche sui canoni e sulla famigerata Direttiva Bolkestein), dell’inquinamento dei tratti di costa. Il paradosso, da cui dobbiamo assolutamente uscire – continua Zanchini – è che nel nostro Paese nessuno si occupa di coste. Non possiamo più permettercelo in una prospettiva climatica come quella che abbiamo descritto, e soprattutto non dobbiamo consentirlo, perché gli 8mila chilometri di aree costiere italiane – con il loro sistema di porti, città e aree protette, rocce e spiagge – sono già oggi una straordinaria risorsa in chiave turistica che potrebbe rafforzarsi e allargarsi costruendo un’offerta sempre più qualificata, integrata e diversificata anche come aree e stagionalità”.
Dall’analisi alla proposta, Legambiente torna a sottolineare l’importanza di definire nuove regole e politiche per rilanciare il ruolo delle aree costiere italiane fissando le sfide del futuro. Occorre approvare una legge nazionale in materia di aree costiere, come negli altri Paesi, che dia risposta alle tre sfide che abbiamo di fronte:
1) garantire il diritto alla libera e gratuita fruizione delle spiagge;
2) premiare la qualità dell’offerta nelle spiagge in concessione;
3) prevedere dei canoni adeguati con risorse da utilizzare per la riqualificazione del patrimonio naturale costiero.
In Italia – ricorda Legambiente – non esiste una norma nazionale che stabilisca una percentuale massima di spiagge che si possono dare in concessione, tale scelta viene lasciata alle Regioni che il più delle volte optano per percentuali molto basse. Addirittura, in 5 Regioni (Toscana, Basilicata, Sicilia, Friuli Venezia Giulia e Veneto) non esiste alcuna norma che specifichi una percentuale minima di costa destinata alle spiagge libere o libere attrezzate. La Sicilia non ha limiti per le spiagge in concessione, ma ha approvato di recente delle nuove linee guida per il rilascio delle concessioni demaniali marittime.
Non a caso, il Report ricorda come diverse sentenze della Magistratura abbiano ribadito i poteri dei Comuni nel garantire i diritti dei cittadini di fronte a concessioni balneari che impediscono il libero accesso al mare. Situazione aggravata dalla forte sperequazione nella definizione dei canoni concessori, con situazioni paradossali che fanno registrare il pagamento di canoni demaniali bassissimi per concessioni spesso molto remunerative. Non c’è da stupirsi, quindi, se nel complesso, nel 2016 lo Stato ha incassato poco più di 103 milioni di euro dalle concessioni a fronte di un giro di affari stimato da Nomisma in almeno 15 miliardi di euro annui. (Il Dato del 2019 non è disponibile).