L’onda d’urto delle donne: le nostre proposte per la Ricostruzione

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Raccolgo l’appello lanciato da Livia Turco qualche giorno fa dalle pagine della Repubblica ad un confronto sulla necessità di creare quella che lei chiama “l’onda d’urto” delle donne. Abbiamo superato il momento più grave e drammatico dell’emergenza sanitaria, durante la quale abbiamo contato i morti ogni sera e sperato che il nostro sistema sanitario non crollasse sotto il peso dei ricoveri. Non possiamo dimenticare quello che è avvenuto nelle RSA, con gli anziani destinati a morire in solitudine, né le nostre città blindate e spettrali.
Nell’emergenza le donne sono state in prima linea in tanti comparti che non si sono fermati: dal servizio sanitario, al mondo della scuola e della ricerca, nei supermercati e nelle ditte di pulizie. L’Istat ci dice che le donne sono presenti in molti settori classificati a medio-alto e ad alto rischio con riferimento alla possibile esposizione al virus. Nello stesso tempo, con la chiusura delle scuole, è aumentato l’impegno gravoso nelle case, che già prima del lockdown vedeva una quasi totale assenza di condivisione. Ora sono proprio le donne a rischiare di più la perdita del lavoro, perché hanno generalmente contratti peggiori, basse professionalità, part time involontario, tempi determinati.

In quello che è avvenuto ci sono delle lezioni essenziali da cui imparare.

Dobbiamo imparare che la normalità della vita precedente alla pandemia è il problema, con i suoi ritmi incontrollati, con uno sfruttamento ambientale che sembra non avere limiti, con la privatizzazione, la marginalizzazione, il depauperamento di settori essenziali per la vita, le diseguaglianze crescenti e l’accumulo di grandi ricchezze nelle mani di pochi.

Che è cruciale la capacità dello Stato di proteggere le persone ed indirizzare le risorse, perché non sarà la “mano invisibile” del mercato a salvarci, di fronte a una crisi economica delle dimensioni che si vanno delineando.

E dobbiamo imparare il valore essenziale delle attività di riproduzione sociale e di cura, che sorreggono l’esistenza: il sistema sanitario, la scuola, le imprese delle pulizie, i supermercati, tutto il lavoro invisibile che viene svolto all’interno delle mura domestiche in prevalenza dalle donne.

Per ripartire davvero occorre un pensiero rivoluzionario, che ha bisogno del punto di vista e della soggettività femminile: questo è il momento per riorganizzare la sanità, i trasporti, il lavoro, le relazioni sociali, il tempo libero, e anche gli spazi pubblici delle città, restituendo centralità alla cura delle persone, delle relazioni, dell’ambiente.
Questo è il momento per promuovere politiche che contrastino la frammentazione del mercato del lavoro, per affermare tutele universali, per ripensare radicalmente il sistema di protezione sociale: quello attuale è modellato sul lavoro maschile, stabile, a tempo indeterminato e non è in grado di far fronte né all’estrema frammentazione del mercato del lavoro attuale né ai rischi di shock straordinari, né all’articolazione dei tempi e degli orari di lavoro. Lo smartworking che in tante abbiamo sperimentato durante il lockdown, può essere contrattato come leva per aumentare l’autonomia della persona nel lavoro, per promuovere la partecipazione alla definizione e valutazione degli obiettivi, al rafforzamento di saperi e professionalità, per lavorare intorno ad obiettivi, per cambiare la cultura del lavoro.
Servono investimenti diretti ai consumi sociali e alle reti di welfare pubblico, non solo al sostegno al reddito individuale, promossi da uno stato innovatore e “imprenditore”, che intorno alla centralità del lavoro di cura ripensi l’insieme delle dinamiche produttive e sociali. Le risorse del Recovery fund siano investite secondo un’ottica di genere, nello sviluppo di servizi per la non autosufficienza, per l’infanzia, nella scuola, per riequilibrare il divario nelle retribuzioni tra uomini e donne.
Come Forum donne di Articolo Uno abbiamo definito in un documento alcuni temi che abbiamo a cuore, e siamo fortemente convinte che Il rilancio del progetto del governo abbia bisogno delle idee e delle proposte delle donne.

Ed è evidente che un’agenda delle donne che abbia l’ambizione di segnare con forza la prospettiva politica può scaturire solo da un confronto plurale e collettivo, da un lavoro che stabilisca legami, relazioni e dialogo, a partire dalla vita delle donne italiane; ma anche da un salto nell’esercizio dell’autonomia politica delle donne nei partiti e nelle istituzioni, senza la quale la presenza femminile ai vertici si risolve in un puro processo di adeguamento al potere maschile.

La forza d’urto evocata da Livia Turco si accompagna a un cambiamento profondo di cultura politica e alla necessità che, a sinistra, si facciano i conti con gli errori del passato, che intorno a un progetto nuovo per il paese si provi a dare vita a un processo ampio e partecipato, anche cimentandosi nel dialogo con tutti quei movimenti, associazioni esperienze che rappresentano una vitale rete democratica su temi importanti: dai Friday for future, ai Black lives matter, dalla rete dei centri antiviolenza, alle donne che sono scese in piazza a Perugia per affermare la libertà di scelta sul proprio corpo, alle donne dei sindacati.

Siamo in una fase straordinaria di cambiamento, di cui le donne vogliono essere protagoniste, noi ci siamo e vogliamo dare il nostro contributo.                                                                                            Roberta Agostini