Luigi Abete

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tratto da “ Banchieri “ di Beppe Ghisolfi  – Aragno Editore

Presidente di BNL L’autore del libro mi ha chiesto di scrivere una autobiografia sul mio mestiere di banchiere. Potrei risolvere il tema facilmente con un no comment: infatti penso che il mestiere di banca è ormai da molti anni diventato un mestiere collettivo, in cui il ruolo di banchiere viene svolto dall’organizzazione medesima, non da singole persone le quali, nell’organizzazione stessa, svolgono funzioni manageriali di vario tipo e responsabilità, dal ruolo di gestione e di responsabilità di risultati affidato in primis all’Amministratore Delegato, a quello di coordinatore delle funzioni di indirizzo e di controllo affidate al Consiglio di Amministrazione, svolto dal Presidente. Se invece, per mestiere di banchiere, intendiamo quello tradizionale di allocare il credito a questo o a quell’individuo o a questa o a quella impresa, dobbiamo andare a ricercare, ai diversi livelli territoriali e di responsabilità, coloro i quali interloquiscono direttamente con il cliente e, destreggiandosi tra i vincoli delle regole sempre in evoluzione, riescono a esercitare la propria funzione tra Comitati Rischi e Crediti sempre più prudenti. Fatta questa premessa “metodologica” illustrerò questi venti anni di imprevisto ed inaspettato impegno da Presidente della Banca Nazionale del Lavoro, dopo aver ricordato che di mestiere, in realtà e da sempre, io faccio l’imprenditore, prima nel settore grafico poi successivamente in quello editoriale e dell’entertainment culturale. Il mestiere da imprenditore in realtà l’ho sviluppato naturalmente essendo nato e vissuto per trent’anni in una fabbrica, avendo acquisito in questo periodo la passione per questo lavoro sempre interpretato nella logica di promozione e sviluppo di progetti e di opportunità e mai (dovrei dire purtroppo da un punto di vista strettamente economico) in una logica padronale. Questo contesto mi ha indotto inevitabilmente a evolvere e implementare il mestiere di imprenditore nell’impegno associativo che, prima nei Giovani Imprenditori di Confindustria e poi nella responsabilità della Presidenza della medesima organizzazione, ha completato il sentiment con cui ho interpretato e interpreto questo mestiere. È proprio durante l’esperienza della Presidenza di Confindustria che nasce paradossalmente quella di Presidente di BNL. Concluso infatti il mandato quadriennale non rinnovabile in Confindustria, i Governi dell’epoca (il Governo Dini e successivamente il Governo Prodi) mi propongono di dare un contributo alla privatizzazione della Banca Nazionale del Lavoro quale componente del Consiglio di Amministrazione. Nella mia esperienza di associazione avevo sempre contestato fortemente l’approccio burocratico del sistema bancario e la scarsa sensibilità a concorrere, con politiche economiche appropriate, allo sviluppo dell’economia: eravamo nelle epoche della alta inflazione, dell’inflazione a due cifre e questo consentiva alle banche di coprire le proprie inefficienze operando facilmente sui differenziali dei tassi di interesse: nella mia esperienza di impresa avevo vissuto direttamente la volubilità del rapporto tra banche e industria, sperimentando nei fatti il vecchio detto che la banca offre il credito quando c’è il sole e chiude l’ombrello quando piove. In questo contesto il pensiero di poter conoscere contribuire in una fase di forte cambiamento dell’economia, mi aveva indubbiamente solleticato, immaginando che la evoluzione concitata della fase storica (globalizzazione, euro e privatizzazioni) obbligasse rapidamente anche le banche a comportarsi da imprese con in più la responsabilità di utilizzare una materia prima – il risparmio – costituzionalmente garantita! Ed ancor di più mai immaginando che l’evoluzione di questi eventi, nella fattispecie della Banca Nazionale del Lavoro, anche per la mancanza di condivisione fra il Presidente Sarcinelli e l’Amministratore Delegato Croff inducesse il primo a dare le dimissioni e costringesse il Governo, essendo nella fase di execution della privatizzazione, a cercare rapidamente un sostituto durante il periodo preferiale di fine luglio e inizio agosto 1998. In quel contesto ebbi il presentimento che, stante la situazione, la individuazione della scelta potesse in qualche modo coinvolgermi: la cosa mi inquietava parecchio, avendo in quel periodo volontà di concentrarmi, dopo l’impegno confindustriale, nello sviluppo dell’A.BE.T.E. SpA e avendo una forte attenzione, maturata nell’esperienza associativa, anche verso la dimensione sociale e politica. Per allontanare il rischio chiesi un incontro al Ministro del Tesoro Ciampi (con il quale peraltro avevo interloquito positivamente nel 1993 sulle vicende della politica dei redditi e dell’accordo di concertazione con le parti sociali) sottolineandogli le qualità di alcuni colleghi del Consiglio che potevano meritatamente e positivamente svolgere la funzione di Presidente. Terminato il colloquio ebbi la sensazione che il mio presentimento fosse fortunatamente sbagliato e quindi mi apprestavo tranquillo a partire con i miei amici per la Sardegna allorché mi giunse la telefonata del Direttore Generale del Tesoro Mario Draghi che mi preannunciava la proposta del Ministro e mi chiedeva la disponibilità ad accettare. Risposi a Mario – con il quale avevo studiato insieme dai gesuiti all’Istituto Massimo – che per un romano era impossibile rifiutare la proposta di essere il Presidente della Banca Nazionale del Lavoro, anche se questo non era nei miei progetti e nelle mie aspettative; risposi quindi affermativamente alla telefonata del Ministro Ciampi e mentre leggevo sui giornali del giorno dopo altri nomi come potenziali successori del prof. Sarcinelli, mi apprestai a partecipare all’Assemblea del 7 agosto 1998 nella quale il dott. Ulissi, dirigente del Ministero, propose la mia nomina a Presidente. È iniziato in questo modo e in quel momento un’avventura che dura da venti anni, in cui ho avuto l’opportunità di svolgere il mio ruolo con Consigli di Amministrazione assai diversi per tipologie e per stile dei componenti, interfacciandomi con cinque Amministratori Delegati – Direttori Generali che nel tempo si sono succeduti per l’evoluzione degli assetti azionari o per scelte personali, cercando (e penso riuscendo) ad essere per ciascuno un interlocutore utile per ottimizzare le qualità professionali e gli obiettivi aziendali del momento ma mantenendo sempre chiara la distinzione dei ruoli e le responsabilità che ciascuno dei due ha in qualsiasi impresa e, a maggior ragione, in un’impresa bancaria. Non essendo questo un trattato sulla Banca Nazionale del Lavoro, non mi soffermerò sulle tappe, alcune importanti altre simboliche o sintomatiche, che mi hanno visto coinvolto in questi anni; e d’altronde per quanto attiene un periodo particolare – quello del 2004/2006 – in cui sulla Banca si sono succeduti un aumento di capitale e tre successive offerte pubbliche d’acquisto con il contorno di eventi di accompagnamento di varia natura, anche di tipo legale che ho intenzione di approfondire quando ne avrò il tempo, essendo stati quegli eventi sintomatici di un’epoca che va ben al di là della vicenda dei cosiddetti “furbetti del quartierino”, come uno degli Azionisti autodefinì se stesso e i suoi compagni di cordata. Essendo questo testo una autobiografia, dedicherò alcune riflessioni su quello che è stato il focus del mio impegno di Presidente, oltre quello ordinario di consentire all’impresa di svilupparsi positivamente e ordinatamente ricordando sempre che l’impresa è una comunità non solo di interessi ma anche di persone e che quindi riesce a svilupparsi solo se il contesto è compatibile con questa realtà: in tale ordinaria amministrazione penso che il contributo più grande fu quello di non assecondare la diffusa mania di comprare sportelli, con il conseguente miglioramento del conto economico trimestrale e quello altrettanto conseguente di dover successivamente essere costretti a ristrutturare, essendo fin dagli inizi del 2000 evidente che, la digitalizzazione e la rete avrebbero presto reso eccessivi quegli acquisti. Era evidente sin dal momento della privatizzazione della banca che tutto questo sarebbe stato un passaggio obbligato ma non sufficiente del processo di valorizzazione dell’azienda: infatti le altre grandi banche italiane avevano effettuato il processo già alcuni anni prima e quindi si trovavano temporalmente e dimensionalmente troppo avanti per consentire alla Banca Nazionale del Lavoro, che era uscita peraltro dalla nota vicenda di Atlanta con un sovraccarico di problemi da risolvere, una possibilità di crescita stand alone ovvero tramite acquisizioni, non essendo la BNL a ciò adeguatamente capitalizzata e non avendo un Azionista dominante o una Fondazione bancaria che potesse supportarla in tale eventuale percorso. Occorreva quindi individuare (e successivamente trovare le condizioni per realizzarlo) un percorso di sinergia con altre realtà essendo ben consapevoli del valore non solo simbolico ma anche di esperienza internazionale di una Banca equilibrata nella attività retail e corporate e della difficoltà, in tali casi, di individuare partner compatibili per una sinergia strutturalmente positiva. Per tali motivi nel corso dei primi cinque anni ho sviluppato ogni impegno per realizzare due potenziali percorsi di crescita: l’uno tramite una integrazione con un’altra grande banca italiana che aveva necessità di individuare una soluzione definitiva – il Monte dei Paschi di Siena – l’altro cercando di sviluppare la comune collaborazione con le associazioni artigiane in Artigiancassa in una ipotesi che vedesse una sinergia societaria tra Banca Nazionale del Lavoro ed il sistema delle banche di credito cooperativo. La prima ipotesi trovava particolarmente sensibili anche le istituzioni, ed in particolare la Banca d’Italia ma, nonostante i tentativi più volte reiterati per passare da una fase teorica ad una operativa trovavano parecchi ostacoli, dai protagonisti individuali di manager alla strutturale ed insuperabile indisponibilità della realtà senese di accettare un’ipotesi di integrazione equilibrata nella quale il Comune di Siena non fosse il socio dominante. A prescindere dalle considerazioni circa l’utilità che una struttura pubblica sia Azionista di controllo di una impresa che vuole crescere sul mercato, appariva insuperabile la contraddittorietà logica e storica di aver privatizzato un importante istituto bancario quale la Banca Nazionale del Lavoro, liberandola dal controllo dello Stato per affidarla qualche anno dopo al controllo di una altra realtà istituzionale quale il Comune di Siena! Il secondo percorso non riuscì invece a trovare, da parte dei soggetti potenzialmente interessati, una adeguata attenzione: i tempi erano diversi e quanto accaduto in questi ultimi due anni nel settore del credito cooperativo era allora per i più purtroppo del tutto inimmaginabile. Considerando quindi impraticabili queste due strade e considerando non adeguate partnership con banche di dimensioni minori, ma che allora andavano largamente di moda, talché il Governatore della Banca d’Italia impropriamente se ne fece paladino in corso delle OPA che si sono succedute negli anni seguenti (considerazione questa che sfugge ai residui fautori di un certo tipo di impropria moral suasion che la Banca d’Italia esercitava in quegli anni e che tuttora immemori continuano a predicare la validità di quel modus operandi!), un’ipotesi di stabilità e di crescita era quella di rafforzare il ruolo dei due principali azionisti di BNL, Generali e BBVA, valorizzando il fatto che, trattandosi di una grande assicurazione internazionale e di una grande banca internazionale, avrebbero potuto concorrere a garantire alla BNL un percorso di crescita stabile e adeguato. Purtroppo tale ipotesi trovò, nel pregiudizio del Governatore della Banca d’Italia dell’epoca per una presenza internazionale significativa una barriera insormontabile che si manifestò con una pluralità di atti e di scritti convergenti ad impedire il rafforzamento prima e l’offerta pubblica di acquisto dopo, da parte del socio BBVA. Da tale contesto anche per un’azione sinergica della comunità di persone di BNL, ad iniziare dai rappresentanti del mondo del lavoro sino ai membri del Consiglio di Amministrazione, espressione di diversi Soci, emerse una pacata ma determinata riaffermazione delle regole che dovevano presidiare qualunque partnership (la stabilità finanziaria con connesse adeguate risorse disponibili, la capacità di una sana e prudente gestione dell’attività bancaria, il rispetto delle regole delmercato e quindi non solo del Testo Unico Bancario ma anche del Testo Unico della Finanza). D’altronde era evidente che per consolidare e consentire la crescita della BNL non era possibile né una risposta di integrazione in un altro gruppo italiano più grande (che avrebbe comportato inevitabilmente nel medio termine l’annullamento della banca), né una sinergia con una banca più piccola, che avrebbe nel migliore dei casi solo ritardato la soluzione del problema; restava quindi una integrazione con un grande gruppo internazionale, che avrebbe da un lato valorizzato il network internazionale dell’esperienza BNL e dall’altro consolidato la soggettività della banca sul territorio nazionale, valorizzando anche il grande valore del suo logo. Dall’evolversi di tale contesto si è realizzata l’offerta pubblica d’acquisto da parte del gruppo BNP Paribas: come ebbe a definirlo un suo alto dirigente in occasione del nostro primo incontro: un gruppo internazionale di nazionalità europea di origine francese. Il quadro azionario e di sviluppo venne definito nel 2006/2007 con il processo di integrazione sa Jean-Laurent Bonnafé, allora responsabile della banca commerciale francese ed Amministratore Delegato di BNL, ora CEO di tutto il Gruppo. Negli ultimi dieci anni la BNL ha mantenuto una forte connotazione nazionale, investendo tra l’altro importanti risorse nel nuovo headquarter di Roma che la fanno essere espressione reale di una realtà glocal, un neologismo che sembrava soltanto una parola e che invece sta diventando ogni giorno di più realtà: essere insieme banca locale e banca globale. BNL è esempio di una storia, forse unica, di un protagonismo multiplo, in cui ognuno, facendo bene il proprio mestiere, ha consentito all’azienda di uscire dal processo inevitabile di cambiamento e dalla lunga crisi economica degli ultimi anni in una dimensione strategica ed economica positiva, senza avere avuto bisogno di operazioni straordinarie e senza aver dovuto fare alcun write off per i propri crediti in sofferenza. Una storia che la comunità BNL ha gestito con continuità ed ordinarietà, essendo questo un dato rivoluzionario in una epoca in cui ognuno ritiene essenziale inventarsi qualcosa per emergere. Gli ultimi dieci anni, ed i prossimi, hanno impegnato e impegneranno l’azienda a proseguire in una modernizzazione obbligata, con l’obiettivo di essere sempre più competitiva ed aperta al mercato. In questo contesto continuo a supportare lo sviluppo di BNL dal mio ruolo di Presidente ed insieme continuo a fare il mio storico mestiere di imprenditore, impegnato a sviluppare le attività editoriali e di entertainment culturale del gruppo Abete: in particolare il magazine Internazionale e Civita Cultura Holding, che insieme a Filmmaster è oggi il mio più rilevante interesse imprenditoriale. Sempre consapevole che gli anni passano per tutti, ed essendo questo il quarto quintile del mio auspicato progetto di vita, anche l’attività lavorativa, per essere efficace, deve avere contenuti di soddisfazione adeguati ad un mondo che cambia.