Mattarella dovrebbe farci votare

0
119

Ci risiamo. Ieri mattina, sul solito giornalone che ci piace tanto, il solito costituzionalista ha messo le mani avanti per giustificare la tenuta del Conte bis anche nel caso il centrosinistra perdesse le elezioni regionali in Emilia-Romagna e Calabria. L’establishment ha paura di perdere le elezioni di domenica, un risultato positivo per Salvini farebbe infatti tremare il Palazzo. Quindi l’usciere corre ai ripari giustificando la tenuta del Conte II tirando in ballo il Presidente della Repubblica, il quale sarebbe tenuto a verificare soltanto se il governo goda della fiducia delle Camere. Insomma la democrazia è solo una questione di numeri. Ma è davvero così?

Al di là dei complessi meccanismi costituzionali, che sono applicati in ogni tempo anche sulla base delle sensibilità istituzionali di chi governa, può essere opportuno ricordare all’illustre costituzionalista cosa dicevano in merito due autorevoli Padri costituenti.

Costantino Mortati – membro della Costituente e giudice della Corte costituzionale – in un manuale di diritto pubblico del 1958 ebbe modo di chiarire che spetta al Presidente della Repubblica «una suprema sopraintendenza dell’attività degli altri organi costituzionali, non allo scopo di indirizzarla in un senso o nell’altro intervenendovi attivamente, bensì solo per compiere presso gli organi stessi un’opera di segnalazione delle eventuali gravi disarmonie che potessero rilevarsi rispetto al sentimento o alle esigenze espresse dal popolo, o per effettuare un appello al popolo stesso, attraverso l’impiego dell’istituto dello scioglimento anticipato, quando vi siano elementi tali da renderlo necessario o anche solo opportuno».

Mortati non è il solo ad esprimere il concetto della necessità di avere una continua corrispondenza tra la volontà popolare e la composizione delle Istituzioni. Dello stesso avviso un altro Padre costituente, Lelio Basso, che dieci anni dopo scriveva: «In un ordinamento democratico ci dev’essere corrispondenza continua fra la volontà degli elettori e quella degli eletti; il nostro ordinamento conosce alcuni meccanismi volti a questo scopo, e precisamente: lo scioglimento anticipato delle Camere da parte del Presidente della Repubblica che dovrebbe essere pronunciato quando fosse constatata un’aperta frattura fra Parlamento e Paese».

Negli ultimi due anni – cioè dopo le elezioni politiche del 4 marzo 2018 – ben sei regioni sono state chiamate al voto: Molise, Abruzzo, Friuli-Venezia-Giulia, Basilicata, Sardegna e Umbria. Tutte regioni amministrate da decenni dal centrosinistra che, a seguito di consultazione popolare, sono tutte passate al centrodestra. Se domenica anche Calabria ed Emilia-Romagna (quest’ultima primario bacino elettorale del Pd da circa settant’anni) passassero al centrodestra, il Presidente della Repubblica – stando a quanto scritto da Mortati e Basso – dovrebbe prendere atto dell’«aperta frattura fra Parlamento e Paese» e provvedere allo scioglimento anticipato delle Camere.

Tanto più che, giusto per non farci mancare niente, l’attuale governo non è sostenuto neppure da una sola lista della coalizione che il 4 marzo 2018 ottenne la maggioranza relativa dei voti e dei seggi (il centrodestra). Governa un partito che ha perso le elezioni, con un partitino che si formato dopo le elezioni, un “cespuglino” e un MoVimento 5 Stelle senza “capo” e per l’appunto in stato vegetativo persistente. I costituzionalisti che giustificano questa situazione cosa vogliono: l’Italia delle Regioni contro la “Roma” dei ladroni?                                                                                                                        di Paolo Becchi e Giuseppe Palma