Misfits di Fabrizio Meris

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Attraversando, nella calura estiva, i giardini pubblici Indro Montanelli l’edificio neoclassico della Villa Reale di Milano appare come un miraggio. Incastonato tra due spazi verdi, tra i primi esempi in Italia di giardini all’inglese, questo palazzo è stato per quasi un secolo simbolo di potere o meglio del constante avvicendarsi di forme di governo e governanti. Nel 1920 è stata acquistata dal Comune di Milano che l’ha adibita a Galleria d’arte Moderna.

MILANO – Mentre ne attraversavo il cortile non ho potuto fare altro che pensare ai personaggi miliari della storia meneghina che sono qui gravitati: dal suo committente Ludovico Barbiano di Belgiojoso, a Napoleone Bonaparte e poi al figliastro di lui Eugenio di Beauharnais, fino all’inflessibile feldmaresciallo Radetzky. Entrando negli spazi della GAM al piano terra della villa per visitare “Misfits” la prima mostra personale della scultrice Nairy Baghramian ho un’epifania trovandomi di fronte al viso della protagonista ideale di questa mostra. Un’immagine sfuggente in cui una bambina dai capelli biondi viene ripresa di lato con il volto imbronciato. Il ricercato pathos sembra accentuato dalla sovrapposizione di vari toni di blu, quello dello sfondo e dei vestiti, ed esasperato dalla struttura asimmetrica della cornice.

Jumbled Alphabet ritratto di Nick Ash della figlia Tilda, si presenta immediatamente come il manifesto scelto per questa mostra dell’artista di origine iraniana ma residente a Berlino. Un senso di straniamento mi accompagna mentre proseguo nella visita. Sorrido tra me riflettendo su come il fine ultimo dell’arte contemporanea in fondo possa essere proprio quello di mostrare una prospettiva alternativa su quello che già pensiamo di conoscere.

Misfits a cura di Bruna Roccasalva è il terzo progetto espositivo del ciclo Furla Series, il programma di mostre promosso da Fondazione Furla e realizzato in collaborazione con i più importanti musei italiani. L’idea di Misfits nasce proprio dallo specifico contesto urbano in cui si trova la GAM, un giardino all’inglese che ha la particolarità di essere accessibile agli adulti solo se accompagnati da bambini. Come chiarisce Roccasalva infatti, il presupposto all’ideazione della mostra è stato generato delle suggestioni contrastanti suscitate da un contesto che rimanda a un universo protetto e ludico come quello infantile, ma che al tempo stesso genera un senso di frustrazione per le restrizioni alla sua accessibilità.

Visitando i cinque ambienti che costituiscono la mostra – in cui si incontrano sculture di grandi dimensioni o gruppi di sculture più piccole – emerge chiaramente l’interesse di Baghramian per lo spazio. Le opere – principalmente fusioni in alluminio – sono dipinte a mano con una palette che risuona nei colori e nei decori degli ambienti neoclassici. L’effetto che pur non volendo essere mimetico crea una piacevole omogeneità tra contenitore e contenuto, dilata fittiziamente lo spazio coinvolgendo in questo gioco lo stesso visitatore. La riflessione dell’artista prosegue nell’osservazione di una dicotomia tra dentro e fuori, e nel suo tentativo di superare questo status quo con la creazione di una serie parallela di cinque sculture in marmo, posizionate all’esterno sul lato giardino, in corrispondenza delle cinque stanze interne. Queste forme sembrano evocare la struttura tipica di certi oggetti ludici basati sull’incastro di forme geometriche. La curatrice riflette così: “Fin dall’infanzia siamo educati ad assemblare elementi dagli incastri perfetti e a sviluppare così un modello di pensiero secondo il quale ogni cosa deve necessariamente combaciare con un’altra. Le sculture di Baghramian negano questa supposta coincidenza: le loro forme non si incastrano alla perfezione, offrono al contrario l’esperienza dell’errore come l’unica possibile, invitandoci a scoprire la bellezza proprio nel loro accostamento imperfetto”.

È un piacere vedere attraverso le vetrate futuri art lover ridere e giocare tra le strutture monumentali di Baghramian – così più grandi di loro – forse ancora ignari del dibattito concettuale circa la capacità di apprendere dai propri errori o se l’errore debba essere lasciato libero di avere un valore di senso puramente proprio. Mi sembra una scelta per altro di senso, avere posizionato lì quelle sculture in materiali preziosi, essendo di fatto questa facciata, e non quella su via Palestro, il vero capolavoro neoclassico dell’architetto Leopoldo Pollack che ha progettato l’edificio e i giardini.