Nel dramma della crisi afgana

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Oggi e domani di dover scontare le conseguenze più atroci e pesanti della violenza oscurantista talebana sono soprattutto donne, ragazze e bambini.

Per questo il 9 settembre, Giornata internazionale per la Tutela dell’Educazione dagli attacchi, tornano a risuonare le parole di Malala, premio Nobel per la Pace, sopravvissuta a un colpo di pistola in testa sparato dai talebani pakistani a bordo dello scuola bus che la riportava a casa da scuola. Malala fu colpita in quanto “simbolo degli infedeli e dell’oscenità”. La sua colpa: voler studiare. Un diritto umano fondamentale, per cui Malala ha continuato sempre a battersi e che oggi è fortemente compromesso per le donne e bambini abbandonati in Afghanistan al loro destino. “Io non parlo per me stessa – ha detto Malala nel suo storico discorso all’Onu – ma per dare voce a coloro che meritano di essere ascoltati. Coloro che hanno lottato per i loro diritti. Per il loro diritto a vivere in pace. Per il loro diritto a essere trattati con dignità. Per il loro diritto alle pari opportunità. Per il loro diritto all’istruzione”. Per garantire questo diritto alle giovani generazioni afgane la comunità internazionale non deve e non può lasciare sole le bambine, le giovani donne rimaste nel Paese.

Non c’è futuro, riscatto, emancipazione e libertà senza istruzione. Per nessuno. “Un bambino, un insegnante, un libro e una penna – sono ancora le potenti parole di Malala – possono cambiare il mondo. L’istruzione è l’unica soluzione. L’istruzione è la prima cosa”.