Pierangelo Marengo

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Credo sia stato l’incontro più impor­tante della mia vita. Lo conobbi alla scuo­la media di Fossano. Fu il preside a con­sigliarmi di consultarlo essendo io, a suo parere, troppo giovane. Il professor Marengo che tutti chiama­vano Peo aveva solo tre anni più di me,
ma godeva di grande prestigio anche nel­la scuola dove insegnava e dove io ero ap­prodato fresco di nomina. I suoi consigli furono di andare lo stes­so pomeriggio a casa sua e di cominciare a scrivere sul “Cuneo”, mensile di cui era direttore responsabile. Non persi certo l’occasione e alle due del pomeriggio mi presentai. Fu veramente la mia fortuna. Cominciai a redigere articoli che egli
giustamente non pubblicava trovandoli vacui ed infantili. Poco per volta mi insegnò a scrivere dedicandomi molti pomeriggi alla settimana con infinita pazienza. Mesi dopo vidi finalmente un mio pezzo con tanto di firma. Lo devo a lui se sono diven­tato giornalista. Ovviamente diventammo molto amici e rimanemmo tali fino alla sua morte avvenuta a trentatré anni una notte a Cuneo mentre uscivamo da una riunione di partito in piazza Europa. Da giorni lamentava mal di testa. Le sue ultime parole furono: “Beppe è
la fine” e fu inutile la mia corsa al vicino ospedale dove spirò poco dopo. Le sue qualità erano numerose. Una in­telligenza ed un’arguzia smisurate ed una disponibilità nei confronti di tutti, anche degli sconosciuti che incontrava per caso o che si presentavano a casa per chiedere favori. Amava il gioco, pur potendo spendere solo spiccioli, ed era mio compito accom­pagnarlo a Montecarlo dove spesso in pochi minuti si esaurivano le sue finanze. Ho sempre detestato il gioco di tutti i ge­neri, ma Peo insisteva affinché lo accom­pagnassi. Tra un rimprovero e l’altro non riuscivo a dirgli di no. Forse ammirava la mia razionalità ed era cosciente della sua
follia. Sono decine gli episodi che descrivono l’animo buono di Peo ed il suo affetto per gli amici. Mi accompagnò anche agli esami di abilitazione per ottenere la cattedra e ri­mase sconvolto agli orali quando mi vide uscire dopo pochi minuti. Temendo il peggio entrò nell’aula tra lo sgomento visti da vicino dei commissari e si rivolse al presidente chiedendogli spiegazioni. Quando seppe
che tutto era andato per il verso giusto si calmò ed andammo a festeggiare. La sua frase preferita che ripeteva mol­to spesso era: “Moment is life”. Il momen­to è vita, la vita è un momento”.
La sua vita è stata un momento.