Primarie Pd, lo schiaffo dei gazebo: meno votanti del dopo Mafia Capitale

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Primarie-deserto. Gazebo malinconicamente vuoti. Il rito autoreferenziale della conta per decidere il candidato sindaco del Pd a Roma non solo si rivela piccolo e solitario ma lo è oltre ogni previsione.

Se prima la soglia del successo delle primarie in scena ieri era di 50 mila persone (c’ è chi alzava l’ asticella a 75mila), ora ci si deve accontentare di 45mila votanti (il dato lo dice Letta ma il chiacchierato Caudo ridimensiona il già poco: «Al massimo avranno votato in 35mila»), per lo più anziani: tanti i 70enni, un po’ di militanti di mezza età e totale assenza di giovani.

Al punto che a Piazza Grecia, nel gazebo del Villaggio Olimpico, uno degli scrutatori a un certo punto ironicamente dice nel vuoto delle code che non ci sono e dei ragazzi che se ne infischiano del Pd e di questa rappresentazione del nulla: «Ma non c’ è nessuno di noi che ha un figlio o un nipote da sventolare davanti al tendone con la scheda in mano, almeno per poter mettere la foto sui social?».

Un insuccesso clamoroso queste primarie tra pochi intimi rispetto ai 110mila votanti nella gara che incoronò Ignazio Marino nel 2013 (contro Gentiloni e Sassoli) e pure rispetto ai 47.300 del 2016 (ma i voti validi furono 43.607) quando la spuntò Roberto Giachetti poi sconfitto nelle urne vere da Virginia Raggi.

Per non parlare delle primarie che, nel marzo 2019, elessero segretario Nicola Zingaretti: 92mila persone al voto a Roma. Quel che colpisce è soprattutto il paragone con i gazebo del 2016. Il Pd usciva dal massacro di Mafia Capitale, nella quale era implicata a tutti i livelli. Nonostante gli arresti, e il discredito e lo sbandamento in cui versava il partito, ai tendoni andarono più simpatizzanti di quelli che ci si sono recati in queste ore.

E questo, nello schiaffo rappresentato da queste primarie, è lo schiaffo nello schiaffo che deve far preoccupare davvero i dirigenti dem e farli riflettere sul rapporto del partito non solo con i cittadini di Roma in generale ma perfino con il proprio mondo di riferimento. «Ci hanno rimasti da soli sti quattro cornuti» (riferito ai romani normali), si sorride amaramente nel seggio di Tor Bella Monaca, il quartiere dove Enrico Letta è andato in vista una settimana fa e dove l’ affluenza come in tutte le periferie è stata bassissima.

«Abbiamo perduto la connessione sentimentale con il popolo», è la citazione gramsciana che fa un anziano al gazebo di Piazza Mazzini, che pure è stato uno dei più frequentati (borghesia progressista) e qui ha votato Zingaretti.

Se si pensa del resto a chi fossero i candidati delle primarie 2013, si può spiegare il tonfo della partecipazione a queste primarie. Allora, in campo c’ erano Gentiloni (che sarebbe stato premier e ora è commissario Ue) e Sassoli, ora presidente dell’ Europarlamento.

Oggi c’ è Imma Battaglia. E se nel 2016 la sfida era Morassut-Giachetti, figure d’ esperienza riconosciuta, oggi il popolo dem s’ è dovuta accontentare di un Caudo: il deserto di partecipazione non può che spiegarsi anche così.

E insieme con il fatto che è difficile coinvolgere gli elettori quando si sa già alla vigilia chi vincerà. Infatti il vincitore annunciato, Gualtieri, è arrivato primo. E’ al 62 per cento nei primi 42 seggi scrutinati (Caudo secondo) e sarà il candidato per il Campidoglio.

L’ ENFASI

Altro che bagno di democrazia! A Testaccio di solito nelle primarie i votanti superano quota mille ma stavolta no: non più di 500. A Piazza Mazzini nel 2016 la quota fu 1200, in questo caso invece 500. E via così. Dove male, dove peggio. E infierisce Massimo Cacciari: «Un partito che non sa decidere fa le primarie. E al Pd le primarie servono perché è un partito di piccole consorterie e di cooptati».

Eppure, da Letta giù, quanto entusiasmo per il flop trasformato, nelle parole di giubilo, in «grande partecipazione democratica!». Ritornello valido anche a Bologna (25mila votanti), dove il candidato dell’ apparato, Matteo Lepore, ha vinto con il 59,6 per cento su Isabella Conti (40,4), candidata vicina a Matteo Renzi ma votata anche da molti dem vogliosi di aria nuova. E il partitone scricchiola pure sotto le Due Torri.

Mario Ajello