PRINCIPIO CONTRIBUTIVO E RETRIBUTIVO ALLA LUCE DELLA COSTITUZIONE

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Riassumendo, esistono due tipologie di calcolo pensionistico: il retributivo e il contributivo. In base al primo, viene erogata una somma pensionistica rapportata all’ultima retribuzione ricevuta; nel secondo caso, invece la pensione è proporzionata ai contributi versati (più o meno con alcuni correttivi).

Ora, l’obiettivo liberista è stato quello di eliminare del tutto il retributivo e condurre tutti nell’alveo del contributivo, restringendo sempre di più i requisiti di accesso alla pensione, sia dal lato del tempo necessario alla sua maturazione del diritto previdenziale e sia dal lato dell’età del percettore (attualmente si sommano).

Obiettivo raggiunto nel nostro paese, dove il sistema di calcolo attualmente in vigore è quello contributivo. Le ragioni possono essere variamente argomentate, ma riassumibili in un’unica ragione: negare un diritto e dunque riportare tutti nell’ambito dell’uguaglianza formale, rinnegando quella sostanziale.

Prima però di spiegare meglio, è necessario precisare che qui si parla di “principio contributivo” e “principio retributivo” e non degli effettivi meccanismi di calcolo delle retribuzioni previdenziali. Cioè si parla dell’approccio filosofico-politico al sistema previdenziale, che peraltro deve essere statale e non aperto ai privati.

Vero è che il principio contributivo, contrariamente a quanto si pensi, è il principio meno compatibile con il comma 2 dell’art. 3 Cost. Infatti, l’intervento dello Stato per garantire la piena partecipazione dei cittadini alla vita sociale, politica ed economica del paese (e riconoscere dignità al lavoratore-cittadino) deve essere volta a eliminare le diseguaglianze sostanziali che impediscono questa partecipazione, che invece non si realizza qualora lo Stato si ritrae dal proprio compito e lascia agire la libera determinazione dei singoli.
In questa ipotesi si afferma la legge del più forte e cioè la legge dell’interesse economico dei pochi a danno dei molti.

Un sistema previdenziale ispirato esclusivamente al principio contributivo avvantaggia indubbiamente questo interesse, soprattutto nel quadro economico-monetario europeo. Meno persone risultano non percettori di una retribuzione pensionistica (ovvero non percettori di una retribuzione pensionistica dignitosa) più debole risulta essere la rete di protezione e tutela sociale delle classi medio-basse. Non solo.

A fronte di una previdenza informata al principio contributivo, si apre inevitabilmente il “mercato” delle pensioni integrative: la previdenza diventa così un business per fondi di investimento, banche e assicurazioni. A guadagnarci realmente sono solo loro, e non il futuro pensionato.

Il principio retributivo si rivela pertanto il principio meglio aderente al precetto di cui all’art. 3, comma 2. Ma qui, sono certo, sorgeranno alcune obiezioni: il retributivo puro si è prestato ad abusi. Indiscutibile purtroppo, ma qui – e lo ripeto – non si parla di applicazione del retributivo puro, ma di applicazione del principio retributivo.

E’ chiaro infatti che un meccanismo retributivo puro porta comunque alla violazione del principio di uguaglianza, perché tratta allo stesso modo tutti i lavoratori, sia quelli che versano contributi per una vita e sia quelli che versano contributi per qualche anno prima di andare in pensione.
Ma questo non esclude che sia il principio retributivo a dover “governare” il sistema pensionistico, perché meglio aderente all’impianto lavoristico della nostra Carta.

Qualsiasi altra soluzione è violativa dei suoi principi fondamentali e inderogabili, e fa solo un favore ai rentiers che alimentano ad arte lo scontro generazionale per far digerire alle nuove generazioni un sistema pensionistico povero e iniquo.
nota di Davide Mura