Quattro secoli di storia dell’Abbadia di san Michele nella “villa” di Lanzo e la sua particolare ed unica Via Crucis

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LANZO TORINESE – La festa del santo, Arcangelo e guerriero, si terrà quest’anno nell’omonima chiesetta lanzese nei giorni 18, 24, 25, 26 e 29 settembre.

Pro tempore regge la presidenza della relativa abbadia alla quale ha apportato notevoli migliorie – con impegno e competenza, al secondo anno del suo secondo mandato – la signora Debora Fiore, che è anche uno dei candidati a sindaco nelle prossime elezioni della città.

Ricorre proprio in questi giorni di settembre anche il 14° anniversario di quando la graziosa chiesetta di San Michele (il cui culto è molto diffuso nelle Valli), ricevette in dono dall’associazione culturale “Lanzo è” una particolare ed unica “Via Crucis”, opera di Ignazio Gindri; chiesa ed opera d’arte che meritano questo approfondimento oggi proposto in esclusiva.

San Michele è certamente tra le più antiche (con quelle di S. Rocco al Ponte del Diavolo (1503), della Beata Vergine di Loreto (1618) e di San Giacinto (1653) ) delle 12 cappelle campestri lanzesi. Pur non potendo datarla con certezza, registriamo che il primo documento manoscritto in cui se ne parla è datato 27 agosto 1503, anno in cui il vescovo di Torino Giovanni Ludovico della Rovere dei Signori de Vinovo concedette alla comunità di Lanzo la facoltà di farvi celebrare messa.

Nei secoli si arricchì grazie ai devoti cittadini che provvidero al suo sostentamento e che la ebbero a cuore. L’atto di costituzione della prima Abbadia purtroppo è andato perso; mentre quello della seconda istituzione risale al 9 giugno 1984. Da tempo, tutti gli anni, si celebra una festa – chi scrive ha avuto l’onore di fare il priore proprio il 30 settembre 2007 –, mentre esiste un registro che annota, dai primi del ‘900, tutti i maggiori avvenimenti e le migliorie operate.

Il termine “abbadia” non si trova su tutti i dizionari; esso si rifà infatti al nome di antiche società sorte per garantire l’ordine e la difesa dei borghi, ma trasformatesi, dopo la metà del ‘500, in associazioni per organizzare feste, provvedere i suonatori, presiedere ai divertimenti…. Il termine “villa”, invece, assai antico (è certo nel Medioevo), stava ad indicare un insediamento o la parte centrale del paese oppure la frazione più importante di esso. Oggi si intende una frazione rurale “fuori porta”.

Le 14 “sculture” metalliche, stazioni della Via Crucis di Ignazio Gindri, costruite con soli chiodi antichi – ricercati pazientemente in tutte le Valli di Lanzo dall’autore – sono state create esclusivamente a mano, una per una, e riportano ricordi sia della storia delle case e delle stalle che li hanno custoditi, sia il vissuto – non sempre felice – dei loro proprietari.

Chiodi di ferro, elemento duro, non solo per fini prevalentemente estetici ma anche per il loro insito simbolismo. Chiodi che comunque, da sempre, di legno, di rame, di bronzo o di ferro, compresi quelli speciali per aerei, sono “inseparabili amici” dell’Uomo. Però il chiodo è anche l’elemento che ha “fissato” Cristo alla croce, ed allora in questo caso si trasforma in un soggetto “cattivo”: il soldato romano, il fustigatore,… mentre – in contrapposizione – per le altre figure è stato usato il bullone, “chiodo buono”.

Anche gli elementi minori (le croci, i particolari…) sono realizzati con chiodi, e tutti – esenti da smalti e vernici – hanno subito un trattamento protettivo che ne garantisce la stabilità nel tempo.

Pur se le nuove tecnologie e gli automatismi riescono a produrre oggi enormi quantità di chiodi a basso prezzo e di buona qualità, in alcune lavorazioni di precisione e realizzazioni di antichi serramenti occorre ancora la mano dell’uomo per risultati di qualità ed estetica difficilmente eguagliabili. Fascino del chiodo, di quelli fatti a mano, che oggi pochissimi artigiani per fortuna concretizzano ancora.

Ed è con questi che Gindri ha scelto di impostare il suo impianto esegetico e di rappresentare il frutto dell’ultimo suo lavoro, paradossalmente, ma fortemente voluto, accostando materialità ed emozionalità alla spiritualità: gli opposti che coesistono per raggiungere lo stesso fine, i diversi che parlano lo stesso linguaggio, anima a materia, cuore e intelletto fusi in un azione artistica che è pure un atto devozionale profondo intriso di meditato Amore.

Le 14 creazioni esposte nella chiesa di san Michele poggiano su supporto in legno di noce, con il numero pirografato, a garanzia di lunga durata. I circa 600 chiodi (50 quelli grandi) sono antichi, a testa tonda, esagonale o quadrangolare, perché così li ha voluti e cercati l’autore, uno per uno, nelle vecchie cascine e nei solai, a sottolineare la genuinità ed originalità della materia prima.

L’opera è il frutto di alcuni mesi di lavoro dopo profondi studi e ricerche e soprattutto riflessioni sull’adeguatezza dei vari quadri alla storia dei Vangeli, visti con la sensibilità che gli è tipica. L’esperienza e la passione, unitamente alle capacità compositive e creative, hanno generato le 14 sculture che narrano con commoventi posizioni e semplificazioni plastiche le ultime ore dell’Uomo-Dio e il ruolo degli altri personaggi della tradizione evangelica.

Un’opera impegnativa ottenuta ricercando e selezionando dal crogiuolo artistico e dai passi evangelici (Marco 14: 32-36; 45-46; 55-64; 66-72; Marco 15: 14-15; 17-19; 20-21 e 24; 33-39; 40-46; Luca 23: 27-28; 39-42; Giovanni 19: 26-27) con molta accuratezza e responsabilità gli elementi maggiormente raffigurativi, concettualmente da far risaltare, che simbolicamente gli sono apparsi più devozionalmente appropriati e rappresentativi.

Non è solo una proposta estetico-figurativa questo “corpus” prodotto; come tutte le opere di profonda e grande ispirazione è anche un viaggio dentro se stessi, nel proprio vissuto e nei desiderati e nelle prospettive dell’imperscrutabile futuro. La meditazione è infatti un altra conseguenza delle stazioni e dell’opera. Una generosa sensibilità operatrice materializza – attraverso un paziente lavoro – un messaggio poliedrico solo in parte evidente, che lascia dell’altro da interpretare.

Percorrere la Via Crucis è infatti – sia per l’artista sia per lo spettatore – un cammino complesso. Si tratta di unirsi al proprio “io” profondo, perseguendo la speranza e la salvezza. L”io” segue un percorso a tappe sulle indicazioni tracciate dall‘artista superando inganni, dolori, sofferenze, solitudine, violenza, confortato dalla forte spiritualità, immerso in una Via Dolorosa che lo porterà, attraverso interiori atti di purificazione, a Dio, sapendo che comunque – oltre la sofferenza osservata e vissuta – la resurrezione e la vita lo aspettano in fondo al tunnel.

I singoli “elementi”, con la loro durezza e crudezza oltre la materialità s’intrecciano alla spiritualità del messaggio, senza contrasti, imbevuti del piacere dell’autore nel realizzarli.

Sbaglierebbe chi intravedesse in questa opera solo la grevità materica o una scelta significativamente “pesante”, poiché sarebbe un atto superficiale che trascurerebbe il senso profondo della vita e dell’arte che di quella si nutre. Ma soprattutto tralascerebbe di valutare e comprendere il messaggio – lievito del Vangelo – di fondo, di cui l’artista ha voluto farsi interprete e di cui tutti abbiamo bisogno.

La comprensione profonda del racchiuso è molto più importante dell’evidente esposto, pur essendo esteticamente coinvolgente e molto valido.

E Gindri ha voluto mirare soprattutto a questo. Ogni cosa è stata composta affinché duri, perché ricordi, perché faccia riflettere, lontano dal clamore quotidiano e dalla superficialità di questa società sempre più povera di valori duraturi e umanamente positivi.

Circa 2000 anni fa un Uomo-Dio ha sacrificato la sua materialità per la salvezza di tutta l’Umanità. D’allora numerosi sono gli artisti che si sono cimentati nell’interpretare e raffigurare o rappresentare quei tragici momenti, con varie tecniche ed attraverso i materiali più disparati.

Nella fede e nella cultura, numerosi sono i richiami all’arte cristiana, con pittura e scultura drammatica, alla Via Crucis (Via della Croce, detta anche Via Dolorosa). Inizialmente si trattava di un cammino nei Luoghi Santi ad opera di pellegrini che ripercorrevano le tappe della Passione di Cristo. Successivamente san Petronio (V sec.) rese popolare e accessibile a tutti questa pratica religiosa, facendo passare un gruppo di fedeli di fronte a 14 croci, soffermandosi davanti ad ognuna per pregare, ognuna rappresentando singoli episodi del Cammino verso il Calvario.

Nel 1393 due carmelitani e successivamente nel 1420 Alvaro da Còrdoba rinnovarono questa pratica, ma non come noi oggi la conosciamo (aveva stazioni, soggetti ed ordine diversi). Il belga van Adrichen (morto nel 1585) diede la versione quasi identica a quella che oggi conosciamo.

San Leonardo da Porto Maurizio (1675-1759) coi suoi confratelli francescani fu tra i primi ad introdurre questa forma di devozione nella spiritualità, mentre il francescano Brinkmann di Fulda eresse nel 1737 la prima via Crucis all’aperto.

Oggi famose sono diventate la Via Crucis a san Bonaventura al Palatino (Roma), e quella voluta, dal 1991, da Giovanni Paolo II al Colosseo.

Nella Chiesa Cattolica il pio esercizio della Via Crucis è connesso all’indulgenza plenaria, quando segue certe ritualità e condizioni.

Fra le opere più famose sulla Via Crucis si possono citare la “Storia della Passione” di Adam Kraft (1455/60-1508/9; scultore), la “Passione” di Martin Shongauer (1453-1491), la “Grande Passione” di Albrecht Durer (1471-1528), quella di Gianbattista Tiepolo (1696-1779) posta nella chiesa dei Frari di Venezia e quella di Friederich Overbeck (1789-1869, pittore tedesco). Oltre a numerose, commoventi, figurazioni rimaste anonime, di epoca medioevale.

Fonti: “La cappella dell’abbadia di San Michele alla villa di Lanzo” – Sergio Papurello, Società storica Valli di Lanzo, 2007. Archivio dell’abbadia di san Michele, Ricerche varie, colloqui con i soci dell’Abbadia. Le foto sono di proprietà dell’autore.

Franco Cortese    Notizie in un click    settembre 2021