Elizabeth Strout – Olive Kitteridge – Roma, Fazi, 2009, 383 p. (215)

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Elizabeth Strout è una pluri-premiata scrittrice che insegna nel North Caroline e vive a New York; è divenuta celebre presso il grande pubblico per una fortunata serie televisiva tratta da questo libro che nel 2009 ha vinto il premio Pulitzer.

Olive Kitteridge è un colto, acuto e molto umano personaggio, ex insegnante in pensione, attraverso il quale la Strout esplora l’ambiente, i luoghi e soprattutto i personaggi principali della cittadina in cui la stessa Olive ha insegnato ed in cui vive, prima con il marito Henry ed il figlio Christopher, e poi, vedova, da sola, col figlio che si trasferisce a New York e si risposa dopo il fallimento del primo matrimonio.

La Strout sa esplorare e descrivere – e lo fa meravigliosamente bene: con acutezza e “savoir écrire” – in momenti diversi e negli anni, gli affetti, le solitudini all’interno delle famiglie, le sofferenze, i sogni e i crolli degli individui in ambienti chiusi, perbenisti e provinciali, oltre che sapientemente dipingere luoghi e situazioni, oggetti e natura, senza dimenticare di abbinare loro le sensazioni e le emozioni che li accompagnano.

Un “mostro sacro” per cui bisognerebbe fare attenzione nell’usare un linguaggio poco convenzionale o irrispettoso, dunque.

Con estrema onestà, però così non è stato per chi scrive, che non è un critico letterario ma solo “un lettore”.

E’ necessaria una premessa. Non abbiamo mai amato, vivendolo quasi con sofferenza, il pettegolezzo, il gossip “col quale e senza il quale si rimane tale e quale”, per cui il nostro giudizio potrebbe essere da ciò influenzato, essendo che questo romanzo “a puntate” si nutre e cresce di, e con, queste cose.

Le capacità psicologiche, di sensibilità e di acutezza di approfondimento dell’autrice, a nostro avviso sono “annebbiate” dalla descrizione di tante minuzie di cose, di situazioni, di oggetti… che hanno richiesto ben 383 pagine, provocandoci periodi di insofferenza per tutto quel perdurare inutile e troppo perseverato del “gossip” di un paesotto di provincia.

Se è possibile meglio descrivere questo libro, diremmo che si tratta di un quadro, un quadro barocco, meglio, rococò, forse troppo appesantito di eccessi non per tutti accettabili.

Nei tredici capitoletti di “racconti”, delle situazioni descritte – a cominciare dall’ambiente di lavoro del marito, “Farmacia”, e terminando con quello finale “Fiume” in cui riscopre il suo essere “donna sola” e lascia intuire la possibilità di unire la sua vita ad una altra solitudine, quella del vedovo Jack – attraverso la “protagonista intrigante e pettegolosa” Olive (che forse ha rovinato la vita del figlio), la Strout fronteggia le varie declinazioni della natura umana – con modalità che qualcuno ha definito “…sottile miracolo di un’altissima pagina di storia della letteratura...” – anche qui, come altrove, sovraccaricandoli di particolari che per i lunghi e tanti periodi, le troppe parole, fanno quasi dimenticare le componenti principali, pur validissime, del suo saper narrare.

E scusate il nostro dire la verità di “lettore”!

Franco Cortese  Notizie in un click