Recovery Plan: slalom dell’Italia tra i paletti fissati da Bruxelles

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L”opportunità è unica ma non c’è tempo da perdere. I 209 miliardi di euro che l’Italia potrà ricevere dall’Unione Europea nei prossimi mesi nell’ambito del Recovery Fund (che in realtà di chiama Next Generation Eu) a fronte di piani d’Investimento ben precisi e autorizzati da Bruxelles, richiederanno il rispetto di scadenze stringenti. Che non sarà semplice rispettare con procedure obbligatoriamente rigide.

Negli ultimi mesi l’enfasi dei media si è concentrata sulla mole degli aiuti che arriveranno. A ragione, visto che i soli trasferimenti a fondo perduto destinati all’Italia (pari nelle stime dell’Ufficio parlamentare di bilancio a 63 miliardi, ai quali si aggiungeranno 15 di programmi comunitari) equivalgono a cinque volte il valore attualizzato dei fondi che giunsero in Italia con il Piano Marshall, che gli Stati Uniti stanziarono per rianimare l’Europa dopo la seconda guerra mondiale. Un piano che, con una significativa analogia, era denominato in realtà European Recovery Program. A tale enorme cifra dal 2021 al 2026 si aggiungeranno altri 120 miliardi (nelle valutazioni della Banca d’Italia) di prestiti richiedibili che andranno restituiti e che porteranno il totale dell’opportunità a 209 miliardi.
Occorre fare in fretta

Il tempo stringe. Le istituzioni comunitarie pongono scadenze precise per utilizzare tali risorse: entro il 2023 per assumere tutti gli impegni programmati ed entro il 2026 per completare tutte le spese con il varo operativo delle opere pubbliche. Un battito di ali di farfalla per i tempi lenti della burocrazia italiana. Una cifra ci aiuta a capire la portata della sfida che si deve vincere: cinquecentoottantasei (586). E’ il numero dei progetti presentati dai ministeri e raccolti dal Mef, in uno stadio preliminare di sviluppo del Piano per l’Italia che, comunque, il ministro degli Affari Europei Amendola ha definito successivamente superato.

Il governo italiano dovrà dunque mettere nero su bianco rapidamente come intende investire tutte queste risorse. A che punto sta? Finora l’esecutivo guidato da Giuseppe Conte ha prodotto solo uno scarno documento di 32 pagine nel quale si definiscono sei ambiti di intervento: digitalizzazione e innovazione, rivoluzione green e transizione ecologica, infrastrutture per la mobilità, istruzione e formazione, equità, inclusione sociale e territoriale, salute. Dentro ogni macro area sono elencate le “azioni-progetti”. Con obiettivi che vanno dallo sviluppo del 5G al completamento della rete in fibra, dalla decarbonizzazione dei trasporti agli investimenti nel trasporto pubblico locale; dal cablaggio di scuole e università al contrasto alla dispersione scolastica, a progetti per colmare il gap di laureati con il resto dell’Europa, a molto altro ancora. Per scendere in dettaglio nei piani d’intervento e convincere Bruxelles occorrerà più tempo e una forte volontà politica. E i dubbi sono leciti visto che stiamo parlando dell’Italia: un Paese che, per fare un paio di esempi recentemente citati dal Corriere della Sera, richiede 86 (ottantasei) autorizzazioni a un imprenditore che voglia aprire un’officina di autoriparazioni e sottopone a 21 (ventuno) controlli di enti pubblici chi abbia la ‘coraggiosa’ idea di aprire un’attività per vendere pizza a taglio. Non sorprende dunque che la Banca Mondiale collochi attualmente il Belpaese al quintultimo posto nella classifica europea del rapporto ‘doing business’ che segnala e confronta gli ostacoli a far partire un’attività imprenditoriale.
Prima scadenza il 15 ottobre

Una situazione che, inevitabilmente, andrà confrontata con i “paletti” fissati dalla Commissione Ue sui tempi con i quali i paesi europei potranno accedere ai fondi. Per ora i Paesi più popolosi stanno elaborando le proposte da presentare all’esecutivo comunitario: i documenti potranno essere inviati in forma provvisoria a partire dal 15 ottobre. Le versioni definitive dei piani dovranno essere inviate dal primo gennaio 2021 (data da confermare) ed entro il 30 aprile dello stesso anno. Sempre a partire dal prossimo anno, poi, gli stati membri potranno ricevere un anticipo del 10% delle risorse europee richieste: l’ora x scatterà quando l’Unione Europea approverà il piano di spesa nazionale.

Ha commentato recentemente l’Economist: “Ci sono due modi di considerare il piano Next Generation Eu: pessimisticamente, come potrebbe far presagire la redistribuzione senza fine di risorse dal Nord efficiente al Sud inefficiente. Oppure come una opportunità storica per portare il Sud al livello del Nord in modo da rendere inutili nuovi trasferimenti in futuro. Come principale beneficiaria del piano l’Italia ha una grande responsabilità”. Che investe non solo il governo ma tutta la classe dirigente del Paese.                                                                                                                                                            Di Luca Borsari