Referendum, perché voteremo no

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«Io voterò no convintamente». Al solo sentire la parola referendum Carlo Calenda, oggi leader di Azione ed europarlamentare, scuote la testa, si infervora.

Insomma, onorevole Calenda, il suo no è netto. Perché?
«È molto semplice: non è una riforma complessiva dell’istituzione parlamentare, che ne ha bisogno – io sono addirittura favore al monocameralismo secco – ma è un taglio indiscriminato che leva rappresentanza a una Camera e che complica il lavoro parlamentare».

In che senso lo complica?
«Perché una Camera con 200 membri dovrà seguire le stesse commissioni della Camera dei deputati. Ma come si fa? Questo rallenterà il processo legislativo. Per non parlare della questione dei delegati regionali, che partecipano all’elezione del Capo dello Stato, al momento sono 60 su 1.000 parlamentari, ma se passasse la riforma assumerebbero un peso senza precedenti nella storia della Repubblica».

Eppure il Pd sostiene che basterebbe introdurre una serie di correttivi più una legge elettorale proporzionale.
«Queste son tutte balle di gente che ha votato per tre volte no e adesso vota sì perché, come su ogni dossier governativo, è sotto scacco del M5S. Sarebbe più limpido dirlo, per restare al governo dobbiamo dire sì al taglio dei parlamentari».

La fermo: il No non rischia di essere interpretato all’esterno come una difesa della casta?
«La vera casta è chi è in Parlamento senza aver un curriculum vitae decoroso, come Luigi Di Maio, o come chi diventa presidente della commissione Affari europei avendo gestito un negozio di animali. Gli italiani si devono preoccupare di questo, che chiama in causa anche la qualità del loro voto, piuttosto che di risparmiare un caffè l’anno, danneggiando le istituzioni democratiche».

Ha visto che il Pd non si è presentato alle tribune elettorali dedicate al referendum?
«Si vergognano come spesso accade di quello che stanno facendo e quando uno si vergogna di quello sta facendo, è ora di cambiare i comportamenti, non di giustificarli, ripetendo meccanicamente “se no ci sono i fascisti”».

Perché alla fine prevale il Sì?
«C’è un dibattito che ha tutto l’interesse a tenere nascosto il merito della consultazione. Io cerco di spiegare che la vera rivoluzione la possono fare solo gli italiani cambiando le motivazioni del loro voto. Votiamo perché gli avversari sono “fascisti” o “comunisti”. Votiamo contro mai per, e senza preoccuparci di programmi, coerenza, esperienza. In questo paese la politica ha cessato di essere “arte di Governo”».

Quale impatto avrà il risultato del referendum sull’esecutivo?
«Nessuno. Perché l’attuale esecutivo è composto da persone che non condividono nulla ma hanno il sacro terrore di tornare a votare. Rimarranno là agganciati con i rampini».

Resta il fatto che il 97 per cento del Parlamento ha votato a favore del taglio.
«Perché da molti anni la politica non è capace di spiegare le ragioni del proprio ruolo di classe dirigente. Si sentono inadeguati e “abusivi” e provano a cavalcare l’antipolitica piuttosto che arginarla come hanno fatto da Tangentopoli in avanti».

Come farà a convincere gli italiani?
«Facendogli notare che da anni votano politici che dopo poco disprezzano. Uno dopo l’altro. E che finiscono per voler punire. Ma la qualità della politica è determinata dalla qualità del voto. Forse è il momento di riscoprire un voto libero e consapevole, lontano dal tifo, che ragioni sull’esperienza e la qualità delle persone e delle idee».

Articolo pubblicato nell’edizione odierna del Corriere della Sera. Di Giuseppe Alberto Falci.