Regionali, Renzi vuole fare liste con Calenda contro il Pd

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“Se cade il Conte bis, ci sarà un nuovo governo e non il voto”. Matteo Renzi è a sciare sull’Himalaya, ma non ci sta a non dire la sua, via e-news. A prescindere dagli scenari, le affermazioni “sostanziali” sono altre due. “Non ci sono 10 Scilipoti dentro Iv”. Tradotto: 10 dei suoi senatori pronti ad appoggiare il premier (cosa che è poi tutta da dimostrare). E ancora: “Nessuno di noi ha detto che vogliamo sfiduciare Conte. Abbiamo detto che non condividiamo la battaglia sulla prescrizione. E che faremo valere su quella i nostri numeri. Punto. Noi su questo non torniamo indietro. Per noi, la prescrizione non vale la fine del governo: ecco perché Bonafede farebbe bene a fermarsi lui, prima di provocare il patatrac”. Anche questa è una frase che merita una traduzione. Va dicendo l’ex premier agli amici: “Il lodo Conte bis non passa, anche se cade il governo”.

Renzi è convinto che alla fine tra lui e il premier (che ancora non ha rinunciato all’ipotesi di sostituirlo con un gruppo di Responsabili), sarà lui a spuntarla, visto che l’opzione di un nuovo esecutivo, fino all’autunno, anche in caso di caduta di Conte, è ormai sdoganata.

E dunque, continua con una guerriglia a tratti persino imprevedibile. Ieri Iv si è presentata a tutti i tavoli programmatici a Palazzo Chigi, senza eccedere nelle provocazioni. Però, sul tavolo sicurezza e immigrazione ha giocato a sorpresa di sponda con Loredana De Petris di LeU, riuscendo a evidenziare qualche imbarazzo nel governo. L’operazione di cui si discuteva era quella annunciata dal ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese (presente insieme al titolare della Difesa, Lorenzo Guerini) di modificare i decreti Sicurezza. Su questo, la riunione si è aggiornata con il ministro competente che ha preso nota di tutte le richieste. Mentre LeU e Iv (con Gennaro Migliore) hanno chiesto anche la modifica del Memorandum Italia – Libia. Subito stoppati. Guerini era andato via, Luigi Di Maio, ministro degli Esteri, era assente. E dunque, si è rimandato tutto a un altro tavolo. Mentre prosegue la guerriglia a livello nazionale, Renzi continua a essere concentrato anche sulle operazioni di disturbo a livello locale. La tentazione è di presentarsi ovunque con una lista propria, insieme a Calenda e a +Europa. Un po’ per contarsi. Ma soprattutto per cercare di mettere i bastoni tra le ruote al Pd. In Veneto e in Puglia è già deciso: Renzi non appoggerà Michele Emiliano e neanche Arturo Lorenzoni, l’anti Zaia voluto dai Dem. La tentazione di correre in maniera alternativa è forte pure in Liguria. Si aspetta la definizione del candidato. Ma se si arriverà a un nome concordato tra dem e 5Stelle (come quello di Ferruccio Sansa) difficile che i renziani dicano di sì. Nessuna decisione è stata presa nelle Marche (dove non si conoscono ancora i candidati).

In Campania c’è in corso un braccio di ferro a vari livelli, tra M5S che porta il ministro Costa, il Pd locale che vuole De Luca e Renzi che potrebbe appoggiare Costa, in cambio di una candidatura di Gennaro Migliore a sindaco di Napoli. Ma non è neanche escluso che – ove gli convenga – finisca per scegliere il governatore uscente, magari in contrasto con il Nazareno. La partita più complessa è quella toscana. Lì Renzi ha imposto il suo candidato, Eugenio Giani. Ma poi ha iniziato a fargli una campagna elettorale contro. Per affermare il suo predominio nella Regione, ne ha provate varie.

Prima, voleva candidarsi in tre collegi: il Pd gli ha fatto elegantemente notare che sarebbe stato felice di averlo in consiglio regionale; una prospettiva abbastanza funerea per farlo desistere. Poi, ha cercato di boicottare la lista del presidente (convinto che gli tolga voti). Al Nazareno la vogliono, non l’ha spuntata. Anzi, una parte degli ex amici lottiani lo vorrebbe fuori dalla coalizione. Lui risponde con la minaccia di presentare Stefania Saccardi. Una pistola abbastanza scarica, visto che molti dei voti che potrebbe guadagnare, andranno alla lista Giani.                                                                                                          di Wanda Marra e Giacomo Salvini – Il Fatto Quotidiano)