Renzi lavora contro il centrosinistra ma a lasciarlo alla destra rischiamo l’autogol

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La politica italiana è davvero originale: riserva ciclicamente grandi sorprese e repentini cambi di scena

Così nel giro di nemmeno tre settimane il grande vincitore delle elezioni amministrative si ritrova all’improvviso quasi messo in un angolo. L’affossamento della legge Zan contro la omotransfobia per colpa di un nutrito gruppo di franchi tiratori ha, infatti, non solo negato il diritto a molti di non essere oltraggiati – ed è il fatto più vergognoso – ma ha anche creato un disordine politico che non sarà facile da affrontare. Un disordine politico che tocca direttamente un campo, quello del centrosinistra, dove il doppio gioco di Matteo Renzi, accusato di essere l’artefice dell’affondamento, ha scombinato per il momento il progetto del Pd di ricostruzione di una larga alleanza elettorale. Ma ha anche messo Enrico Letta davanti a un bivio.
Certo, scommettere sulla lealtà, sulla coerenza e sull’affidabilità dell’ex rottamatore è ormai un gioco pericoloso, e lo si è capito troppo tardi. Lo sa bene il segretario del Pd, prima vittima di un disinvolto modo di fare politica, senza principi e senza morale. Renzi pensa che la politica sia come gli affari: si scommette su una mossa così come si punta su un titolo di borsa, si gioca di rilancio come a poker e spesso si bluffa. Il carattere dell’uomo è noto da tempo, sin da quando a bordo di un caterpillar è entrato dal portone principale del Nazareno e ha trasformato il Pd in una terra di nessuno. Sono talmente lontani quei tempi che oggi – mentre il fiorentino lancia i suoi strali contro Letta da Riad, capitale di uno stato senza diritti- ci si chiede come abbiano fatto i dem ad affidarsi a lui dopo le dimissioni di Bersani. Come abbiano fatto a consegnarsi con le mani legate e le spalle al muro.

Ma questa è storia vecchia. Il punto di oggi è un altro e ci porta a chiederci non solo (lo fa Paolo Branca nel suo articolo su strisciarossa) come si riuscirà a tenere insieme in una coalizione sia Italia viva sia il Movimento Cinque stelle, come si potrà mai fare un nuovo Ulivo se mancano non solo le radici ma persino il terreno dove piantarlo. L’altra questione centrale è come si riuscirà a gestire i passaggi importanti dei prossimi mesi, a partire da quello più delicato e strategico: l’elezione del presidente della Repubblica.

Ora, Enrico Letta dice, giustamente, che Renzi è inaffidabile, sta giocando con la destra e che con Iv la rottura è totale. E dice anche, sempre giustamente, che il nuovo Ulivo non si costruisce nelle stanze dei partiti o dei partitini ma tra i cittadini. E però, c’è un problema, anzi due. Il primo e più importante è che se si persegue questa strada bisogna sapere che nella partita del Quirinale il Pd diventa minoranza e che una saldatura tra centrodestra e Iv (che, ricordiamolo. ha molti più parlamentari del suo peso elettorale, avendoli rubati al Pd) potrebbe decidere chi sarà il prossimo Capo dello Stato con tutte le conseguenze immaginabili. Il secondo, altrettanto delicato, è che nel Pd l’area filo renziana esiste e resiste ancora e già in queste ore sta facendo sentire la propria voce e potrebbe presto riportare scompiglio in un partito che da poco sembrava aver trovato la pace interna.

In conclusione Letta si trova davanti a un bivio: rompere definitivamente con Renzi, e rischiare di perdere la partita del Quirinale e essere costretto ad affrontare una pericolosa turbolenza dentro il Pd, oppure, dopo una sacrosanta e iniziale chiusura, cercare di ricomporre in qualche modo il rapporto. Non è una scelta facile perché la chiarezza dei programmi e delle idee spingerebbe verso il finale regolamento di conti. Ma questo vale il prezzo di lasciarsi sfilare sotto il naso dalla destra alleata con Renzi la scelta di una figura così decisiva come il presidente della Repubblica?

Pietro Spataro