Salvate il soldato Morisi

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Se non fossimo un paese fortemente proibizionista, sessista, omofobo, incapace di emanciparsi da un paradigma morale provincialotto, sicuramente assisteremmo a una diversa copertura mediatica

.Invece, nel cercare di capire cosa è successo, nel tracciare punti fermi di una qualche rilevanza, dobbiamo muoverci tra una marea di eufemismi, ammiccamenti, perifrasi, giustificazioni morali anteposte ai fatti. Siccome in prima pagina non si può sbattere il mostro, perché stavolta è uno del giro che conta, allora la lingua si fa circospetta, prudente, quasi timorosa nel toccare il nome diretto delle cose.
Il Corriere del Veneto è un saggio involontario di questo stile. La pietra dello scandalo sono “flaconi di droga liquida”, mentre la zona in cui Morisi vive è un complesso residenziale dove “buona parte degli appartamenti” è “utilizzata come garçonnière o alloggi d’appoggio”. Ovvero appartamenti usati per avere rapporti sessuali fuori dal matrimonio – quale sia la pertinenza con il caso non è specificata, ma è lasciata all’immaginazione di chi legge. Veniamo inoltre a sapere che uno degli appartamenti ospita un Centro di Accoglienza Straordinaria (CAS). Insomma, è “connaturato al luogo che ci sia sempre un certo via vai, magari anche a ore tarde”.
Mentre nella giornata di lunedì si inseguono gli aggiornamenti, si consuma anche il grottesco teatrino di Salvini. Leader di un partito abituato a criminalizzare l’uso di stupefacenti e a dare in pasto all’opinione pubblica chiunque sia utile a polarizzare consenso, esibisce una delle sue principali qualità politiche: la faccia di bronzo. Se Morisi infatti è un “amico che sbaglia” cui prima di tutto bisogna rinnovare la fedeltà, c’è anche spazio per lamentarsi delle “schifezze mediatiche” sul caso. Più dell’andare a colpo sicuro nel rinfacciare lo storico di posizioni sugli stupefacenti della Lega, probabilmente il miglior commento a questa ipocrisia è quello di Ilaria Cucchi, il cui fratello, Stefano, è tra i tanti dati in pasto alla macchina di propaganda leghista.
È questo forse il punto centrale della vicenda: se l’uso di stupefacenti riguarda qualcuno spendibile in negativo, allora la scure morale si abbatte dall’alto verso il basso senza scrupoli. Non esistono “consumatori di stupefacenti”, o “persone con dipendenze” nella lingua proibizionista, ma tossici e no – con la variante, di questi giorni, di “persone con fragilità esistenziali”. Chissà quanti criminalizzano a mezzo stampa i social “baby spacciatori”, per esempio, e magari hanno tra i numeri più chiamati in rubrica quello del pusher di fiducia.
A ciò va affiancata la grande livella della “indignazione social”, che ci rende in apparenza tutti uguali, e fa venire meno il peso specifico del destinatario, i mezzi reali a disposizione, le complicità al di fuori dell’atto linguistico. Per cui, ci viene detto, non bisogna trattare la vicenda mettendosi “sullo stesso piano della Bestia”. O che la “Bestia siamo noi”.
Vogliamo perciò tranquillizzare tutti quei giornalisti e addetti con simili preoccupazioni, invitandoli nel contempo, se possibile, a recuperare i rapporti di proporzione. È molto difficile che l’utente medio di Twitter abbia uno staff di professionisti in grado di lavorare in pianta stabile per distruggere psicologicamente Morisi, o Salvini, additarlo come bersaglio, tra un cuoricino e un bacino, a milioni di utenti, senza preoccuparsi minimamente per le decine di insulti, o minacce, che arriveranno. È molto difficile che l’utente medio di Twitter possa in particolare fare ciò mentre ricopre un ruolo istituzionale, dando vita a un vero e proprio bullismo di Stato a spese dei cittadini. È molto difficile che l’utente medio di Twitter possa dettare l’agenda mediatica del paese, intanto che commenta quello che le principali testate hanno deciso essere importante, rispetto all’opinionista di peso, o al politico, o che possa manipolare quell’agenda pianificando trending topic.
Perché è di questo che si parla, quando si parla del lavoro svolto finora da Morisi: spaccio di odio tagliato con emoji, foto di piatti e selfie. Spaccio di odio incurante delle vittime collaterali, date in pasto alla foga dei consumatori: avversari politici, giornalisti, intellettuali, comuni cittadini, persino minori. E, attorno a questo spettacolo indecoroso, i convegni, gli articoli e i libri a indicarci il tutto come un modello, come una capacità tecnica da inquadrare senza essere obnubilati da troppa ideologia o moralismi. Ma – scusate la volgarità – per apprezzare e decantare le virtù della merda bisogna prima aver educato il palato a gustarla, lo stomaco a digerirla, i muscoli facciali a sorridere. Se dal punto di vista del diritto concediamo com’è doveroso che sia la presunzione di innocenza, dal punto di vista politico il giudizio è stato espresso da molto tempo.

Arianna Ciccone