Salvini #bollito

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Vi è capitato di vedere di recente Salvini? Fa quasi pena, e il “quasi” ovviamente non è a caso

Le sue colpe politiche sono molteplici, ma lo è ormai anche la sua smisurata pochezza.

Mi direte ora che Salvini è sempre stato politicamente poca cosa. Avete ragione: certo non è mai stato De Gasperi o Churchill. Eppure, fino a due anni fa, qualche dote ce l’aveva. Mediatica, rabdomantica, strategica. Fate voi. Ma ce l’aveva. Dopo il suicidio del Papeete, no: disastro totale. Un’agonia continua, un calvario tragicomico costante. Al punto tale che, a guardarlo e sentirlo adesso, fa appunto quasi pena. Pare un pugile suonato. Suonatissimo.
La sua “alleata”, Giorgia Meloni, grazie alla sua furbetta opposizione strategica cresce di brutto nei sondaggi. Donna Giorgia è pure leader di vendite tra i bestsellers di saggistica, col suo libro autobiografico per nulla scalfito da chi desiderava assurdamente “boicottarlo” (regalandogli in realtà visibilità ulteriore).

Anche in tivù Meloni droga in positivo gli ascolti, per esempio venerdì scorso a La Confessione su Nove, mentre Salvini vale ormai quanto Calenda. Cioè poco, o se preferite niente.
La crescita costante di Donna Giorgia è per il pugile suonato Salvini ulteriore motivo di sconcerto. Accrescendone quindi la pochezza, il senso (involontario) per il ridicolo e quella sua sorta di ostinata nonché scellerata “volgare irrilevanza”. Come si caratterizza, oggi, il Salvini politico? Il suo presente pare roba da trivio minore, da avanspettacolo: da caratterista fallito in un film sbagliato con Jerry Calà.

Qualche esempio. Il vitalizio ridonato a Formigoni. I quasi venti punti (venti!!!) persi in un anno. La guerra santa al ddl Zan, la guerra grulla al coprifuoco. Le tortoiate prese da Giorgetti e Zaia, pronti a far presto la festa di quel che politicamente resta del cosiddetto Capitano.

Le mascherine non messe, gli assembramenti provocati, i selfie regalati con buona pace della pandemia. Gli attacchi scomposti a Galli e Crisanti, dall’alto forse della sua laurea in rutti alla Sorbona di Pontida. Quel suo “senso” per la vittoria che ricorda da vicino Crisantemi, indimenticato panchinaro della Longobarda.

I geroglifici disegnati sulla sabbia, mostrando fiero la nobile trippa. Il suo avere in mano due estati fa il paese, quando oggi tra le dita stringe al massimo un Nutella Biscuit. Il suo senso per la democrazia mutuato un po’ da Orban, un po’ da Putin e un po’ dal Poro Schifoso. Che triste declino, per il povero e sbattuto eroe dei prodi Porro & Giletti!
Ieri leader della Lega e oggi ameno reggimoccolo della Meloni, Salvini sarebbe per distacco – se non ci fosse Renzi – il peggior Matteo politico nella storia del mondo.

E invece gli tocca arrivare secondo pure in quella gara lì, perché l’ultima volta che ha vinto qualcosa nel Milan c’era ancora Rivera.
Questa sua perdurante fase politica, che potremmo definire “maceria becera di se stesso”, non stimola neanche più la satira. Al massimo, guardandolo e ascoltandolo, ne deriva un mix distratto di fastidio e misericordia. Se due anni fa mi ispirò un libro intero, “Il cazzaro verde”, oggi mi stimolerebbe al massimo un sonetto breve.

Pieno, come sempre, di rispetto e affetto. Magari intitolato così: “Quel che politicamente resta di un pesce lesso. Anzi bollito”.

Andrea Scanzi