Salvini, ‘i porti chiusi’ finiscono in tribunale: 2020 di processi

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Lasciando il Papeete, nell’agosto del 2019, Matteo Salvini, dopo aver staccato – improvvisamente – la spina al governo Conte, si prepara a una campagna elettorale, che tanti danno per scontata. Ma la politica riserva sorprese: al ritorno dalla vacanza il leader della Lega invece delle urne troverà ad attenderlo, nel giro di qualche mese, le aule di tribunale. Finendo nel tritacarne giudiziario per la ‘politica dei porti chiusi’, la cifra distintiva della sua esperienza al Viminale, che per gli inquirenti diviene presto una ipotesi di reato: i migranti lasciati in mare – per Patronaggio e gli altri pm siciliani – sono vittime di sequestro aggravato.

La prima a capire la gravità della situazione è Giulia Bongiorno, ex ministra leghista che si affretta a rimettere i panni dell’avvocato: “””Questa cosa – dice a Salvini, che in prima battuta ne fa quasi un vanto – è un guaio, la vera pena è già il processo: attraversare mesi e anni in aule giudiziarie”.

All’inizio la grana si chiama ‘Diciotti’. Salvini l’affronta quando ancora è al governo. Il 7 settembre 2018 si viene a sapere che la Procura di Palermo ha indagato l’allora ministro dell’Interno per sequestro di persona e abuso d’ufficio, per non avere permesso lo sbarco dei migranti della nave Diciotti nei porti italiani, a luglio. Interviene il Tribunale dei ministri, che il 24 gennaio 2019 respinge la richiesta di archiviazione dei pm siciliani: la palla passa al Senato che deve esprimersi sulla richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti di Salvini.

Matteo Salvini scrive al Corriere della Sera e fa sapere che quanto gli viene imputato lui lo ha fatto nell’interesse del Paese: “Per questo – dice – chiedo al Senato di negare l’autorizzazione a procedere”. “Mi sento e mi devo assumere la piena responsabilità politica di quello che è stato fatto e in particolare della vicenda Diciotti”, aggiunge anche il premier Conte, rivendicando la condotta in tema di migranti