Tutela dei lavoratori in appalto, una sentenza che conta

0
64

La Corte di Appello di Trento (qui la sentenza) conferma il pronunciamento del Tribunale con il quale si era riconosciuta la fondatezza del ricorso presentato dai lavoratori – assistiti dalla UILTuCS – volto ad ottenere l’applicazione della normativa dell’art. 2112 codice civile in luogo della sola clausola sociale del Ccnl Pubblici Esercizi – Ristorazione. Evidente il carattere più favorevole della prima, a partire dal mantenimento della tutela di cui all’art. 18 legge n. 300/1970.

Il caso si riferisce al cambio di gestione della ristorazione in una struttura ospedaliera. I giudici, dopo una ampia analisi delle differenze tra i due istituti, affermano innanzitutto che “Non è dirimente il rilievo che nella fisiologia dei negozi giuridici il trasferimento d’azienda si realizza attraverso un rapporto diretto contrattuale fra le due imprese, mentre il cambio di appalto non crea legami diretti fra i due appaltatori; se il giudice accerta la sussistenza di un trasferimento d’azienda in un caso formalmente riconducibile al cambio di appalto, deve applicare la disciplina di cui all’art. 2112 cod. civ., indipendentemente dalla qualificazione formale, non trattandosi di disciplina nelle disponibilità delle parti.” Di fatto, la conferma della illegittimità della originaria versione del DLgs. n. 276/2003 che pretendeva l’esclusione a prescindere del cambio di gestione, già oggetto dell’intervento della Corte di Giustizia UE. Oggi, infatti, l’art. 29 dispone che “L’acquisizione del personale già impiegato nell’appalto a seguito di subentro di nuovo appaltatore dotato di propria struttura organizzativa e operativa, in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro o di clausola del contratto d’appalto, ove siano presenti elementi di discontinuità che determinano una specifica identità di impresa, non costituisce trasferimento d’azienda o di parte d’azienda. (Legge 122/2016)

Posto che l’attività di ristorazione non è considerata labour intensive, per la necessaria compresenza di strutture e beni, i giudici stabiliscono che nei singoli casi occorre quindi “procedere all’accertamento della struttura e dell’organizzazione aziendale coinvolta nella successione per verificare se gli elementi di discontinuità concreti dedotti determinino una specifica identità di impresa.”

Da questa valutazione, su cui la sentenza si sofferma dettagliatamente, scaturisce la decisione.

“(Si) applica la disciplina di cui all’art. 2112 cod. civ. non in base alla circostanza che i lavoratori siano stati in gran parte riassorbiti dall’appellante, né sulla sola circostanza che i servizi prestati dalle due imprese siano analoghi, ma sull’accertato passaggio fra le due società del medesimo insieme di beni materiali e immateriali, complessivamente considerato, finalizzato e necessario all’esercizio della stessa stabile attività economico-imprenditoriale di erogazione del servizio oggetto dei capitolati di appalto.”

Altro punto qualificante è rappresentato dall’attribuzione dell’onere della prova: “In capo al nuovo appaltatore l’onere di dimostrare che non vi sia identità fra la sua identità di impresa e quella svolta dall’appaltatore precedente.

Sicuramente un punto a favore nella continua battaglia per la tutela dei lavoratori impiegati nelle attività in appalto. Occorre ricordare che la Corte di Giustizia Ue si è pronunciata anche in modo diverso, riconoscendo l’applicabilità delle norme in tema di trasferimento di azienda (in Italia l’art. 2112 c.c.) anche per attività ad alta intensità di manodopera. E’ nostro compito valutare a quale indirizzo riferirsi per ben impostare i ricorsi rispetto alle singole fattispecie.