Un giudice non basta

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Il caso Acerbi è la prova (ennesima) che non è possibile, né lecito, affidare a una sentenza il compito di sollevarci dal nostro giudizio etico, culturale, politico.

La giustizia ha un limite “tecnico” evidente e necessario: non può condannare senza prove. La selva di telecamere schierate attorno alle partite di calcio non è stata in grado di documentare l’insulto razzista. Per questo il giudice sportivo non ha voluto/potuto condannare il difensore dell’Inter. Questo non vuol dire che Acerbi non abbia insultato Juan Jesus (è molto possibile, anzi, che lo abbia fatto: non si spiegherebbe, se no, come mai Juan Jesus si sia offeso); né che il calcio (più sugli spalti che in campo, non dimentichiamolo) non sia razzista.

Vuol dire, semplicemente, che non tutte le questioni, le ingiustizie, le offese che gravano su una collettività possono essere risolte a colpi di sentenza. Nessun giudice, sportivo e non, può sentirsi investito di una “missione morale” che influenzi le sue decisioni. Il giudice sportivo in questione, per sua fortuna, non aveva il compito di combattere il razzismo; aveva il compito di stabilire se in quello specifico caso fosse provato un comportamento razzista, e ha ritenuto di non averne le prove.

Michele Serra