Viola Ardone – Il treno dei bambini – Torino, Einaudi, 2019. 239 p. (224)

0
60

Solidarietà! Diciamo che in questo romanzo storico-realistico la solidarietà tra il nord più ricco ed organizzato ed il sud, più povero e con meno iniziative, è il concetto che ritorna più frequentemente e che ne “impregna” tutte le pagine; concetto strettamente collegato al dramma della separazione madre-figlio, in parte naturale, in parte “forzata” dagli eventi storico-sociali degli anni del secondo dopoguerra italiano

Fu effettivamente una iniziativa dell’allora Partito Comunista – quando il legame col territorio dell’apparato organizzativo dirigenziale e delle sezioni locali era quotidiano, solido e fruttuoso! – far ospitare bambini meridionali da famiglie volontarie, soprattutto dell’Emilia e della Romagna, per periodi più o meno brevi; iniziativa in qualche caso finalizzata a vere e proprie, successive adozioni di minori provenienti dalle regioni più povere del sud Italia.

C’è poi un altro elemento determinate che rappresenta il fil rouge della narrazione: la scoperta delle capacità individuali, del proprio destino, del proprio futuro, da parte di una generazione, quella del dopoguerra, messa a confronto con le soggettive potenzialità e situazioni logistiche di residenza che – nel bene o nel male – hanno determinato il futuro di tanti ragazzi e ragazze.

Nello specifico, Amerigo Speranza, bimbo di 7 anni abitante con la madre, Antonietta, (del padre non si hanno notizie) in un “basso” di Napoli, sale controvoglia – come migliaia di altri bimbi – su un treno diretto al nord (la prima neve vista cadere viene scambiata per ricotta, la prima nebbia per fumo!) per trascorrere alcuni mesi ospite di una famiglia modenese… che però non lo accoglie più perché nel frattempo la donna ha partorito, ed allora va ospite in casa di Derna, single funzionaria di partito, poco pratica di ospitalità, ma che si appoggia alla cugina Rosa, che di figli ne ha tre: Rivo (10 anni), Luzio (7) e Nario (1) nomi scientemente voluti dal marito Alcide (“…perché lui ai santi manco ci crede”), accordatore di pianoforti e costruttore di strumenti musicali.

Col passar dei giorni Amerigo scopre che “i comunisti” non tagliano le mani ai bimbi né li mettono nel forno e nemmeno li portano in Russia a lavorare; tutt’altro, li fanno mangiare e li trattano bene, li vestono con indumenti comodi e caldi come lui non ha mai avuto pur non essendo del tutto nuovi. Scopre ancora la sua passione per la musica, nata a Napoli, che qui può coltivare, grazie anche ad un violino col suo nome inciso regalatogli per il suo compleanno, e tante altre cose nuove ed interessanti.

Il paragone con la sua vita di prima viene spontaneo, e l’amore di mamma Antonietta ormai si pone ogni giorno più lontano. Lasciata sola, la madre aveva dovuto arrangiarsi, specie dopo la morte del figlio maggiore, da Amerigo mai conosciuto, trafficando col caffè di contrabbando, mentre Amerigo aiutava le entrate familiari raccogliendo stracci che venivano lavati, puliti, rammendati e quindi venduti ai mercatini.

Terminato il soggiorno a Modena Amerigo ritorna a casa sua ed è subito scontro con la mamma, pragmatica, realista e conservatrice. Lui dovrebbe imparare il mestiere di calzolaio, ma “nun è cosa!”; dopo l’ennesima lite – quando il suo violino sparisce da sotto il letto e scopre che la madre gli ha nascosto le lettere ed i pacchi che arrivavano da Modena – il ragazzo scappa da casa, va in stazione e con uno stratagemma – tipico di chi è cresciuto nei vicoli di Napoli – raggiunge il nord e non tornerà più da sua madre.

La rivedrà, sul letto di morte, dopo che ha frequentato il Conservatorio ed è diventato un cinquantacinquenne ricercato maestro di violino, allorché ritrova anche alcuni suoi amichetti di infanzia, scoprendo di avere un nipote i cui genitori hanno problemi con la legge, e al quale si affeziona.

Il romanzo termina con la speranza che lui possa seguire quel ragazzo a casa sua, risparmiandogli le peripezie da lui sofferte; lasciando nel contempo un senso di amaro in bocca, per quel duro destino raccontato con candore dalla brava Ardone, la cui opera è stata tradotta in 25 lingue, e ha avuto un grande successo alla Fiera del libro di Francoforte.

Franco Cortese  Notizie in un click