Vladimir Putin, lo sceriffo dell’est

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Il presidente russo Vladimir Putin si presenta alla settimana chiave dei negoziati con l’Occidente fedele alla propria retorica: la minaccia alle istituzioni statali del Kazakistan non è causata da proteste spontanee dovute all’aumento dei prezzi del carburante, ma è frutto di “metodi in stile Maidan”.

Il riferimento è alla piazza di Kiev simbolo delle proteste contro il governo ucraino del 2014, annoverate dal Cremlino nell’elenco delle “rivoluzioni colorate” sponsorizzate dall’Occidente. “Non permetteremo che si attui lo scenario delle cosiddette rivoluzioni colorate”, ha ammonito il leader del Cremlino, ribadendo che per Mosca quanto accaduto in Kazakistan è “un’aggressione esterna”.

Dato il biglietto da visita con cui Putin si presenta a Ginevra, è bene non aspettarsi soluzioni miracolose dal doppio appuntamento negoziale – oggi i colloqui Usa-Russia, mercoledì il Consiglio Nato-Russia in cui rientra (dalla finestra) l’Unione europea. Lo ha detto anche il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg: non è “realistico” che i colloqui di questa settimana con Mosca possano risolvere le questioni che hanno portato al riaccendere delle tensioni sul confine dell’Ucraina.

I motivi sono molteplici, ma sicuramente conta molto la determinazione di Putin nel riaffermare l’egemonia russa nell’ex sfera sovietica, un progetto figlio della convinzione che la fine dell’URSS sia stata “un grave disastro geopolitico”. Come ricorda il Wall Street Journal, l’avventura in Kazakistan, su richiesta del leader del Paese, segue quasi 15 anni di interventismo russo in Georgia, Bielorussia, Ucraina e altrove: tutti interventi volti ad avvicinare ancora di più questi Paesi alla Russia, sostenendo i leader allineati con il Cremlino, giocando il ruolo di broker regionale, o cercando di indebolire coloro che hanno mostrato deferenza all’Occidente.