Accelerazione del ritmo del tapering e dollaro USA

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Come accennato sopra a proposito della FED, si sta facendo sempre più vivo il dibattito all’interno del FOMC sull’opportunità di considerare un’accelerazione del ritmo della riduzione degli acquisti di asset (che scenderebbero di 15 mld al mese per esaurirsi a luglio 2022) in modo da lasciare la FED con maggior flessibilità nel 2022

Infatti, sta salendo la probabilità che aumentino i tassi di interesse prima del previsto (in virtù di un tapering più rapido) se l’inflazione non dovesse dare segnali concreti di raffreddamento. Il mercato ora scommette su tre rialzi dei tassi USA da 25 bps entro dicembre 2022 rispetto ai 60 bp cumulati che erano prezzati ad inizio mese. Questo sta portando con sé due conseguenze: un aumento dei rendimenti sul tratto a medio/lungo termine della curva e un ridimensionamento delle attese di inflazione sotto forma di un rialzo ancor più consistente dei tassi reali.

Questa divergenza di politiche monetarie (quella europea resta più accomodante per tutto il 2022) fra USA ed Europa sta fornendo il carburante per il rally del dollaro in corso da qualche settimana. Gli ultimi dati che testimoniano una buona salute del mercato del lavoro forniscono alla banca centrale americana l’ultimo tassello per accelerare l’uscita dagli stimoli monetari e per rialzare i tassi di interesse.

Oltre alla divergenza di politica tra Fed e Bce (e di conseguenza della prospettiva di rialzi dei tassi per il 2022) e all’avvio del “tapering” in USA, altri due fattori stanno spingendo il dollaro. Il primo è dato dal cosiddetto fenomeno del “carry trade”, per cui gli investitori globali tendono a indebitarsi in euro a tassi bassi, per comprare titoli denominati in dollari a rendimento più elevato. Il “carry trade” consiste dunque nel vendere euro e comprare dollari. Il secondo fattore è da ricercarsi nella quarta ondata pandemica, che sta costringendo molti Stati europei a adottare o a ipotizzare nuove restrizioni. Questo rischio a livello geografico contribuisce a indebolire ulteriormente l’euro.

Tra le banche che invece sono già passate all’azione segnaliamo che la Reserve Bank of New Zealand ha alzato il cash rate di 25 bps per il secondo mese consecutivo portandolo a 0.75%, inasprendo la politica monetaria nel tentativo di arginare i rialzi dei prezzi. La reazione negativa della valuta e dei rendimenti sui bond governativi, anch’essi in calo, evidenziano le attese per una mossa più aggressiva con un rialzo di 50 bp e cash rate all’1.0%. Le nuove previsioni sui tassi sono state spostate ulteriormente verso l’alto proiettando il cash rate al 2.6% a fine 2023.