Definire Berlusconi come “divisivo” mi sembra onestamente un pò poco

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Eppure, quell’aggettivo non fa giustizia di Berlusconi e di quello che ha rappresentato.
Può fare il garante della Costituzione chi ha frequentato la P2, costruito il suo impero mediatico affiancato da un condannato per mafia, trasformato la politica e le istituzioni in un grande calciomercato?
Eppure mai un uomo politico era arrivato così vicino alla rottura del patto costituente, sdoganando i postfascisti e riducendo la contesa elettorale in una battaglia personalizzata a suon di milioni. Non è stato ancora analizzato troppo a fondo il legame indissolubile tra l’anima nera del paese – che riemerge sistematicamente nei momenti di crisi – e il berlusconismo, una corrente profonda insediata nel sovversivismo delle classi dirigenti che ha accompagnato gli anni più bui della storia repubblicana.
Sottovalutare questo sodalizio nel 2022, nel centenario della Marcia su Roma, sarebbe un atto di profonda ingenuità, perché la democrazia si nutre di simboli, di memoria, di discrimini storici. E l’Italia non è immune da queste ricadute, nemmeno se a guidarlo c’è un tecnico di fama internazionale e se la stragrande maggioranza dei media suona la grancassa di una stagione felice e catartica dell’economia e della società. Cosa che in tutta evidenza non è.
Se nel 2021 abbiamo avuto la nostra Capitol Hill con l’assalto alla casa dei lavoratori italiani, la sede nazionale della Cgil, qualche domanda su dove va un pezzo di società italiana dovremmo porcela.
Con la più grande Opa mai vista sul Parlamento diretta da un vegliardo in cerca di riscatto.
Per questo Berlusconi non è divisivo, ma degenerativo.
Mobilitarsi prima che sia troppo tardi sarebbe doveroso.