Draghi e la dittatura dei mercati

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Il giochetto è vecchio ma con l’Italia riesce sempre.

La dittatura dei mercati, avallata delle grandi cancellerie, sia chiaro che non detta legge solo da noi, ma solo qui si impone sulla democrazia dei cittadini tra inchini e salamelecchi.

Un film che abbiamo visto tante volte, più sfocatamente nella Prima Repubblica, quando l’alternanza o persino il compromesso tra Centro e Sinistra erano resi impossibili dalla divisione del mondo in due blocchi, e poi più nitidamente nella seconda Repubblica, con l’impennata dello spread ordinata da Berlino e la lettera di Trichet e Draghi (oh, guarda!) che licenziò l’ultimo governo Berlusconi.

Un sovvertimento della volontà popolare (la destra aveva vinto le elezioni) che aprì la strada all’Esecutivo di Monti e Fornero, che fecero quello che “ci chiedeva l’Europa”: farci versare lacrime e sangue. Ora nel Belpaese la democrazia non è che se la passi benissimo. La forza politica che ha vinto le ultime elezioni – i 5 Stelle – è messa all’angolo, a donare sangue a un premier mai passato dalle urne, che i giornali e le tv dei poteri forti ci descrivono come idolatrato in patria e in ogni dove.

Un gradimento tutto da dimostrare (chiedere ai greci che ne pensano della cura della Bce), così come va bene per gli ingenui tutta la retorica del “whatever it takes” che salvò effettivamente l’euro, ma non senza il benestare di quegli stessi mercati che avevano fatto montagne di soldi minacciando la moneta europea, e in caso di crollo avrebbero perso il malloppo.

Così da quando Draghi ha deciso di andare al Quirinale e i partiti non ce lo vogliono mandare, da quegli stessi mercati sono partite ondate si vendite sui nostri titoli del debito pubblico, con la conseguente salita dello spread. Un fatto ancor più grave se si considera che la Bce sta comprando gli stessi titoli al ritmo di miliardi per ogni mese.

Gaetano Pedullà