Farmaci orfani in Italia: tanti database che non dialogano fra loro

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Roma – Molte informazioni sulla sicurezza e l’efficacia dei farmaci devono essere raccolte, come è ovvio, prima della commercializzazione. Ma quando si parla di farmaci orfani, il percorso per renderli disponibili ai pazienti nella pratica clinica è ancora più complicato su tutti i fronti: dalla raccolta di dati pre-marketing al conseguimento dello status di farmaco orfano, fino al monitoraggio post-marketing, in particolare per i farmaci approvati prima del completamento dei trial clinici.

Ottenere, nonché interpretare questi dati sull’efficacia e la sicurezza nella fase pre-marketing è molto impegnativo per diversi motivi legati alla rarità delle malattie, ed è per questo che è necessario generare delle solide evidenze post-marketing. La disponibilità e l’utilità delle fonti di dati real-world, inoltre, variano da Paese a Paese: uno studio pubblicato sulla rivista Expert Opinion on Drug Safety ha fornito una descrizione dettagliata delle risorse di questo tipo disponibili in Italia.

“La raccolta di dati pre-marketing avviene in popolazioni selezionate e ha determinati limiti di tempo: non può quindi registrare gli eventi a lungo termine o quelli più rari; e questo è ancora più vero per i farmaci orfani”, spiega Gianluca Trifirò, Professore Associato di Farmacologia del Dipartimento di Scienze biomediche, odontoiatriche e delle immagini morfologiche e funzionali dell’Università di Messina, autore dello studio. A quali fonti, quindi, è possibile attingere? “Non c’è un unico strumento, ma il pilastro per la valutazione della sicurezza dei farmaci, inclusi quelli orfani, è il flusso di dati che proviene dalla segnalazione spontanea delle reazioni avverse, spesso disponibile per intere città e Regioni. Ci sono poi i registri di patologia e i registri farmaco-specifici come quelli dell’AIFA, questi ultimi utilizzati prevalentemente ai fini della rimborsabilità di quei farmaci di nuova introduzione che prevedono managed entry agreements. Per tale motivo, queste fonti dati non sono strumenti idonei a fare valutazioni post-marketing sulla sicurezza dei farmaci, sebbene abbiano il potenziale per diventarlo”, prosegue il prof. Trifirò.

Infine, possono essere utilizzate altre banche dati, come i record elettronici sanitari (che includono le cartelle cliniche informatizzate) e gli archivi elettronici dei medici di medicina generale e dei pediatri di libera scelta, dall’analisi delle quali sarebbe possibile studiare, ad esempio, il percorso dei pazienti affetti da malattie rare per arrivare alla diagnosi. Anche le informazioni contenute nelle banche dati amministrative, come quelle generate dalle Regioni e dalle ASL ai fini della rimborsabilità delle prestazioni sanitarie erogate, possono essere strumenti rilevanti per il monitoraggio dell’utilizzo di farmaci orfani tra le persone affette da malattie rare.

Nonostante il loro notevole potenziale per le valutazioni scientifiche, tutte queste risorse in Italia sono poco utilizzate a fini regolatori. Cosa si potrebbe fare, dunque, per migliorare l’accesso ai dati? “Occorrerebbe far dialogare queste fonti mettendo in rete le banche dati delle diverse Regioni, ed integrando le informazioni disponibili nelle varie tipologie di fonti dati, sempre rispettando le normative sulla privacy. Molte malattie rare, però, non hanno un codice di esenzione, e questo è sicuramente un limite importante per la loro identificazione nelle fonti dati”, conclude Trifirò.

La creazione di un’infrastruttura di dati sanitari informatizzati e integrati dalle varie sorgenti a livello nazionale, adattate per rispondere sia alla ricerca che ai requisiti normativi, è quindi necessaria per fornire informazioni clinicamente utili anche sui farmaci orfani. Questo è l’obiettivo del progetto INSPIRE (IN Search of early clinical and molecular Predictors of diagnosis and treatment response In patients with Rare Endocrine disorders: retrospective analysis on large healthcare database network and translational cohort studies), appena finanziato dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (MIUR) nell’ambito dei progettti PRIN (Progetti di Rilevante Interesse Nazionale), e che sarà coordinato dal prof. Trifirò in collaborazione con i gruppi accademici di endocrinologia delle Università Sapienza di Roma, Napoli e Milano.