Feltri: “La lingua batte dove la femminista non capisce niente”

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Ormai i concetti e le idee contano meno delle parole che ne esprimono il senso. Se dici negro invece che nero sei un razzista, mentre i due vocaboli sono sinonimi. Se dici zingaro invece di rom sei un farabutto indegno di vivere nel consorzio civile. E non parliamo degli uomini che amano andare a letto tra di loro: un tempo erano definiti culattoni, checche, finocchi, invertiti, pederasti, froci.

Oggi tutte queste parole sono severamente vietate. Un giornalista che si esprimesse con uno di questi termini verrebbe fucilato dall’ Ordine professionale più conformista d’ Italia, oltre che più inutile. I soli sostantivi ammessi sono gay (inglese) e omosessuale.

La guerra al dizionario della nostra ricca lingua è stata vinta dai sacerdoti del politicamente corretto e per noi poveri tapini non c’ è verso: siamo stati sconfitti e ci tocca adeguarci al nuovo misero lessico o tacere. Dovremo rassegnarci. Un tempo, anche abbastanza recente, la Crusca prendeva atto che la lingua nasceva dal popolo e la codificava secondo criteri culturali, senza dimenticarne l’ origine.

Oggi anche l’ Accademia si assoggetta ai gusti dei progressisti, ai quali peraltro si inchina chiunque per fare bella figura con i propri simili, ignoranti compresi, assai numerosi.

In questa assurda polemica le persone normali, che parlano come mangiano, di norma bene, sono soccombenti. Senza contare che la lite si è arricchita di un altro tema caro alla ex presidente della Camera, Boldrini, la quale raccomanda di femminilizzare la denominazione dei mestieri.

L’ ultimo scontro a questo proposito è avvenuto durante il festival di Sanremo allorché una signora, Beatrice Venezi, per altro abile, si è chiamata direttore d’ orchestra anziché direttrice. Capirete che dramma. La donna è stata massacrata: doveva definirsi direttrice d’ orchestra per compiacere non solamente la Boldrini, ma anche tutti coloro – troppi – che la pensano come lei, trascurando che l’ idioma è un elastico adattabile alla persona che lo utilizza, riferendosi alla tradizione, al costume familiare.

Il bisticcio che ne è derivato ha assunto connotazioni comiche, dato che da sempre ciascuno parla come cacchio gli pare. Perfino un commentatore del Corriere della Sera, Giuseppe Antonelli, si è inserito nel dibattito futile asserendo in forma professorale che si dice direttrice e non direttore.

Magari non ha tutti i torti, ma dovrebbe sapere che la consuetudine, sorella dell’ abitudine, fa premio sulle pedanterie tardofemministe. Cosicché gli segnalo una piccola cosa: a dirigere la Nazione di Firenze, quotidiano storico, c’ è una ragazza abile: Agnese Pini. Nella gerenza del foglio è scritto il suo nome alla voce direttore responsabile. E allora perché è vietato affermare che Beatrice Venezi è un direttore d’ orchestra?