Il “modello culturale” di Briatore non esiste

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Il modello culturale di Briatore non esiste, al contrario di ciò che pensa Luca Telese, uno dei grandi infoiati accusatori del patron del Billionaire. Non esiste perché, banalmente, Briatore si limita a lavorare, e lavorando bene è riuscito a imitare lo stile scanzonato e benestante dei film di Vanzina. Tantomeno gli avventori dei suoi locali intendono far parte di un modello culturale, preferendovi dei giorni e delle notti di relax e divertimento. È persino semplice: c’è chi ama divertirsi evitando, come invece faceva Umberto Eco, di andare a letto alle nove leggendo Kant. Punto, fine, la storia finisce qui.

Briatore malato scatena l’invidia della sinistra

Invece, il mondo del controllo sociale ha gettato la maschera e avviato ad indossare la mascherina: Briatore è colpevole perché si è fatto portatore di uno stile di vita che ha (avrebbe) avuto come conseguenza un focolaio in Sardegna. Se a rifiutarsi di farsi i tamponi sono gli insegnanti, chissenefrega e guai a toccare l’elettorato della sinistra. Se invece chi insiste pervicacemente a lavorare e a crear lavoro è mister Billionaire, che contro molte aspettative ha portato avanti una stagione e qualche centinaio di assunzioni stagionali, apriti cielo. Anche i ricchi debbono piangere, e possibilmente beccarsi il coronavirus. Twitter si è trasformato nella gabbia delle cornacchie. Già prima della notizia di Briatore, migliaia e migliaia di individui pregavano affinché la pandemia investisse coloro che avevano osato passare una sera in un locale aperto al pubblico.

Dopo il ricovero di Briatore, è come se fossero iniziati e festeggiamenti, è come se fosse stato fatto scoppiare il petardo più grande e magnifico. Si è trattato, e si tratta tuttora, della soddisfazione nel vedere nella merda chi solitamente naviga nell’oro. Se gli si fa notare che Briatore, come moltissimi altri imprenditori del settore dell’intrattenimento turistico, significa migliaia di posti di lavoro, gli uccellacci del malaugurio rispondono che è meglio chiudere un po’ oggi che tutto domani. Sembra gli stia a cuore il destino dell’Italia e dell’impresa italiana, salvo poi ricordarsi che sono i soliti che già prima di qualsiasi pandemia predicavano espropri forzati in nome del “dagli all’evasore”.
Salute (?) ma senza lavoro

La filosofa Donatella Di Cesare, ad Agorà, lo ha detto chiaramente: felice che il governo abbia salvaguardato la salute di tutti noi a costo di frantumare il lavoro. Concetto sempliciotto espresso impropriamente, ma agli addetti ai lavori non può sfuggire una certa e tipica soddisfazione dei soliti ambienti progressisti allorquando l’impresa italiana finisce in ginocchio. Scommettiamo, ovviamente, che ella sia invece entusiasta per i nuovi 70mila insegnanti assunti, i quali, terminata la pandemia, rimarranno nelle scuole di una nazione che ha deciso di non far più figli, insegnando l’italiano e la matematica a muri e portoni. Ha senso frantumare scrupolosamente il tessuto imprenditoriale italiano, con annunci di chiusure di interi settori dalla sera alla mattina, buttando via 100 miliardi di scostamento di bilancio in inutili bonus? No, o, meglio, sì per taluni, ossia per chi crede ancora che l’imprenditore italiano debba attraversare giustamente questo deserto di impopolarità.

Una via crucis durante la quale, mentre si fatica e si soffre, dal ciglio della strada costoro sputano e lanciano pietre di sdegno. Il contesto sanitario, che qualcuno definisce dittatura, non rappresenta solo una catastrofe umana, sociale ed economica che ancora deve sprigionare i suoi reali effetti, ma la piccola e meschina possibilità per il mondo liberal di aumentare il controllo sociale su tutti noi. È in gioco, dunque, la nostra libertà. E, prima fra tutte, quella economica.

Lorenzo Zuppini                                                                                                                                         fonte  http://Il “modello culturale” di Briatore non esiste