Il “Titolo V”, una follia in mano alle regioni

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Passata la pandemia e al netto dell’immane disastro che essa lascerà, occorrerà riflettere sulla tenuta complessiva del nostro Paese, in termini di adeguatezza delle norme, efficienza ed efficacia degli apparati amministrativi in un contesto in cui i Costituenti rifiutarono giustamente ogni tentazione di inserire nel testo della Carta ogni riferimento al cosiddetto “stato d’eccezione” (con il suo automatico corollario dei “pieni poteri” e dell’improbabile e inopportuno “uomo solo al comando”), come pure altri Paesi hanno ritenuto di fare, Francia in primis.

Balza agli occhi la pessima prova di sé che ha dato l’attuale assetto dei rapporti centro-periferia, voluto dall’allora maggioranza di centrosinistra, e approvata, forse con eccessiva superficialità in un referendum costituzionale, contenuto in quello che continuiamo a definire “nuovo Titolo V”. È tempo di bilanci, misurati tanto nella gestione ordinaria del rapporto Stato-Regioni, quanto in quella necessitata dall’attuale situazione di emergenza che ha determinato una tale bailamme di polemica da non trovare eguali nella storia della Repubblica. Già in tempo di “pace sociale” abbiamo assistito a un aumento smisurato del contenzioso costituzionale fra Stato e Regioni, tale da costringere la Corte a emettere decine e decine di sentenze con le quali ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di numerose, e talvolta, stravaganti leggi regionali che, nel maldestro tentativo di costruire una sorta di “federalismo fai da te”, ha finito per invadere le competenze legislative del Parlamento. La Corte ha più volte ribadito che il nuovo Titolo V non è il grimaldello attraverso il quale si intende scardinare l’unità e l’indivisibilità della Repubblica, sostituendola con uno sgangherato autogoverno.

Abbiamo assistito alla progressiva adozione di locuzioni e terminologie d’oltreoceano (la sostituzione del termine “Presidente della Regione” con quello di “Governatore”) che hanno, nei fatti, legittimato il governo regionale dell’uomo solo non disgiunto dalla circostanza per cui, essendo i Presidenti delle Regioni “eletti direttamente dal popolo” (tale evenienza è figlia della malsana idea di prevedere anche l’elezione del Sindaco d’Italia), essi godrebbero di una legittimazione persino maggiore di quella del Presidente del Consiglio (indicato dalla maggioranza e nominato dal Presidente della Repubblica). Questo il fiume carsico che ha pervaso il nostro Paese e che negli anni ha eroso, con evidente responsabilità politica di chi quel Titolo V scrisse, volle e approvò, ogni equilibrio istituzionale di questo Paese, a favore di una non meglio precisata “partecipazione caotica” alla formazione delle decisioni. Frutto dell’assenza di una “clausola di supremazia” della legislazione nazionale a tutela dell’unità della Repubblica di cui si sente la mancanza. Quanto poi il Titolo V abbia dato buona prova di sé in tempo di Covid-19 è sotto gli occhi di tutti.Non vi sono Regioni (e loro Presidenti) “virtuose” e Regioni “viziose” nella gestione delle competenze, Regioni governate da una parte politica o dall’altra. Vi è solo una follia collettiva che vede impegnati i Presidenti a rivendicare poteri per i quali non hanno competenze e a “scaricare” adempimenti non graditi, nella più indistinta applicazione di principi clientelari e populisti. Mentre in tempo di pace abbiamo assistito all’approvazione di leggi regionali davvero assai originali (dal divieto di edificare nuovi edifici di culto, ovviamente diversi da quello cattolico, alla organizzazione di strutture paramilitari regionali volte a “perseguire” la sicurezza, come noto competenza dello Stato), in tempo di guerra (al virus) assistiamo alle più incredibili delle scelte (apertura estiva delle discoteche, ma anche riapertura degli ospedali infetti) sotto gli occhi attoniti degli addetti ai lavori, ma anche dei cittadini che, quasi che sia uno sport nazionale, fanno il tifo per il capo del governo o per questo o quel Presidente della Regione, quasi che si stia assistendo a una partita di calcio.

Verrà presto il tempo in cui questa pandemia sarà solo un brutto e tragico ricordo, ma anche un monito per comprendere quanti danni abbia fatto il virus a noi, ma anche quanti ne abbiamo fatto noi a noi stessi, per non aver compreso fino in fondo che l’assetto disegnato dalla riforma costituzionale del 2001 ha seriamente peggiorato i nostri conti pubblici senza aver minimamente migliorato le prestazioni a favore dei cittadini. È giunto il momento di porre in essere una serie riflessione sul nostro regionalismo che, nel rispetto del principio contenuto nell’art. 5 della Costituzione ponga al centro, in maniera chiara, la potestà legislativa statale nelle materie che investono tutto il territorio, senza deroghe né eccezioni, con provvedimenti di portata nazionale, tali da garantire omogeneità, efficacia ed efficienza.                               di Saverio F. Regasto**Università degli Studi di Brescia