In Italia ancora troppi parti cesarei: in Campania oltre 1 su 2

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In Italia una donna su 3 partorisce con un cesareo. Dati molto sopra la media nelle regioni meridionali. Forti differenze fra case di cura e ospedali pubblici
In Italia ancora troppi parti cesarei: in Campania oltre 1 su 2

Tutti i ginecologi, a parole, si dichiarano contrari a un uso indiscriminato del parto cesareo. Eppure i dati ufficiali dicono che in Italia troppe donne concludono la gravidanza con un intervento chirurgico. «In media, nel 2016, il 33,7 per cento dei parti è avvenuto con taglio cesareo», si legge nel rapporto annuale sulle nascite in Italia. Segno che, al netto delle differenze territoriali e della struttura in cui si dà alla luce un bambino, «il ricorso nel nostro Paese è ancora eccessivo». Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, la quota nazionale dei parti cesarei non dovrebbe superare il 15 per cento.

Indurre un parto per ridurre i cesarei? Non è una buona soluzione

CASA DI CURA: CESAREO PER 1 PARTO SU 2

Il dossier redatto dal Ministero della Salute evidenzia parecchie criticità nella gestione dei cesarei. Rispetto al luogo del parto, si registra un’elevata propensione a ricorrervi nelle case di cura accreditate. Nel 2016, a conti fatti, 1 parto su 2 (il 50.9 per cento del totale) si è concluso con una procedura chirurgica. Il primato spetta alla Campania, con quasi 2 parti su 3 (65.4 per cento). A seguire la Sicilia (50.8) e la Puglia (49.5) sono le regioni che hanno fatto registrare i numeri più significativi. Ancora più alti i dati relativi alle cliniche private, dove 8 gravidanze su 10 hanno avuto come epilogo un parto cesareo. A ricorrere maggiormente alla chirurgia (ecco quando è necessario il parto cesareo) sono state soprattutto le donne italiane che vi hanno optato in oltre un terzo delle gestazioni. Una ricerca condotta dall’Istituto Superiore di Sanità nel 2003 evidenziò infatti che più di 7 donne su 10 sottoposte a cesareo avrebbe partorito per via vaginale, se avessero potuto scegliere.                                                                                                                           fonte https://www.fondazioneveronesi.it/