In base al report sul mercato del lavoro USA prosegue spedita la creazione di nuovi posti di lavoro (850mila nell’ultima rilevazione), ma la delusione proveniente dalla revisione al rialzo del tasso di disoccupazione, salito inaspettatamente al 5.9%, viene interpretata come il miglioramento in atto non sia così veloce da mettere fretta alla Fed nel ritiro anticipato delle misure di sostegno.
Infatti, dopo una prima reazione iniziale il tasso del decennale americano ha preso a scendere dando il via ad un rally del mercato obbligazionario proseguito con i timori per la variante Delta e il rallentamento economico di cui abbiamo discusso.
Sul mercato petrolifero si registra molta volatilità dal momento che il cartello dei produttori di greggio non è riuscito a raggiungere un accordo per l’aumento della produzione e ha spinto il barile a toccare i massimi dal 2014 a 77$ al barile. I contrasti sono tali che il vertice è stato cancellato e non è stata pianificata ancora una data per la prossima riunione: le difficoltà negoziali hanno coinvolto l’Arabia Saudita e gli Emirati arabi uniti, con questi ultimi che si sono impuntati nel pretendere una modifica della base di calcolo dei tagli in caso di proroga degli accordi oltre la scadenza di aprile 2022.
L’Arabia Saudita non ne ha voluto sapere e quindi non è stato raggiunta nemmeno l’intesa sull’aumento di produzione da agosto in avanti, mantenendo quindi valide le decisioni dell’ultima riunione e invariata la produzione. Ci sono dei rischi associati a questi sviluppi: nel breve la mancata riduzione dei tagli alla produzione potrebbe far impennare il prezzo del petrolio (le scorte USA stanno calando molto velocemente), mentre nel medio periodo il rischio è che un’ipotetica fine degli accordi il prossimo aprile possa far muovere i produttori liberamente (agendo ognuno a modo suo) e quindi aumentare l’offerta di petrolio in modo troppo rapido e inopportuno, viste le incognite sul fronte del Covid, ottenendo l’effetto opposto sui prezzi.
