PERCHE’ UNA RETE UNICA E A QUALI CONDIZIONI

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Il primo divario digitale in Italia è quello della infrastruttura, un gap che blocca lo sviluppo dei servizi sia civili che industriali, della mobilità intelligente e della transizione tecnologica (siamo, secondo l’indice DESI, al 25° posto in UE per livello di digitalizzazione).

Se vogliamo portare la banda larga e ultra larga in tutto il paese abbiamo bisogno di un’infrastruttura avanzata, capillare, veloce ed efficiente, che arrivi ovunque nelle aree di mercato e a quelle cosiddette “bianche” cioè a fallimento di mercato. Anche se in teoria una concorrenza tra diverse reti e relative società potrebbe essere la soluzione ottimale, dobbiamo però chiederci se nel nostro paese, dove non c’è stato uno sviluppo di una rete via cavo, ci siano risorse sufficienti da impiegare in una duplicazione dell’infrastruttura.

La risposta oggi sembra “No”. Possiamo e dobbiamo avere una sana e corretta concorrenza sui servizi telefonici e digitali, ma la RETE PUO’ ESSERE UNICA, con uno sforzo congiunto di investimenti adeguati e di ottimizzazione degli stessi per un’accelerazione tecnologica e per recuperare ritardi e “buchi” nell’ampia penisola.
Occorrono, però, alcune CONDIZIONI CHIARE relative alla governance del soggetto che gestirà la rete unica, all’impegno sugli investimenti dal rame alla fibra, alla GOVERNANCE DELLA SOCIETA e al RUOLO DEL PUBBLICO, e alla garanzia di CONDIZIONI EQUE E PARITARIE per tutti gli operatori che agiranno sulla rete con parità di accesso e di modalità.
Per queste ragioni un punto critico è la particolarità italiana di un operatore di rete che è anche operatore e gestore di servizi e per questo si dovrà affrontare il nodo della “società verticalmente integrata”, andando verso una modifica di questa situazione. E’ un’operazione molto complessa , ma il Governo ci sta lavorando con tanto impegno e visione, con la regia del Ministro Gualtieri.

Ma qual è di fatto la realtà del nostro paese?

In Italia le reti per utilizzare Internet sono due, ma tutte e due incomplete come ramificazione. Si tratta, come noto, di TIM e di Open Fiber (controllata da CdP e Enel). L’obiettivo finale sembra quello di una fusione o della creazione di un nuovo soggetto che dovrebbe vedere anche la partecipazione di altri operatori Tlc e fondi/investitori anche esteri.

La decisione di questi giorni sembra essere il primo passo per aprire questa strada: si dà l’ok all’ingresso del Fondo Americano (KKR) in TIM o meglio in Fibercoop (la società di TIM che va dall’armadietto alle abitazioni) e si avvia la possibilità di unire questa rete secondaria di Telecom con quella di Open Fiber dando così vita ad una prima realtà integrata.

Tutti i punti critici sono sul tavolo e si lavora per trovare soluzioni. Telecom difficilmente rinuncerà al suo Core Business e deve rispondere ai suoi azionisti privati, ma l’occasione che si presenta per una SVOLTA TECNOLOGICA del nostro paese, sostenuta anche dalle strategie e dai fondi europei, è troppo importante per non fare tutti i passaggi utili. Bisognerà anche fare i conti con la legislazione europea, che dà vincoli, ma offre anche opportunità. Il nuovo codice delle Telecomunicazioni, cui ho attivamente lavorato, ha interessanti novità: dalla possibilità di co-finanziamento di tutti gli operatori alla fattispecie del wholesaler only.
Insomma molti ostacoli, ma finalmente c’è una visione e una strategia.

Sembra che siamo sulla buona strada per diventare anche noi un paese infrastrutturato digitalmente come richiesto dalle nuove strategie (e dai fondi) di sviluppo europee!!

Patrizia Toia