Non si muoveva come un pesce,si muoveva un po’ come un ragno

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tratto da “L’ultima fila in alto”

Si avvicina il momento della prima presentazione de “L’ultima fila in alto”, il libro autobiografico scritto da Gianluca Bordiga, che avrà luogo a Torino quest’autunno. Con quest’opera, la sua prima, Gianluca racconta armoniosamente con un’efficace sintesi novantacinque anni di storia della sua famiglia e del suo perseverante impegno pubblico a difesa del territorio delle origini. Sono tante emozioni contrapposte. Narra anche di Luciano Mazzotti di Remedello, piena pianura bresciana; una terra che al primo impatto sembra abbia poche emozioni da trasmettere, ma invece è ricchissima di storia, e la sua gente nutre un profondo amore verso il Chiese, un amore ferito un secolo fa dall’onda speculativa sul bene demaniale più eminente, dalla quale quel territorio non è ancora riuscito a guarire; ma oggi grazie ad un processo culturale unitario la cui fiammella s’è accesa sul Lago D’Idro, grazie all’iniziativa dell’Associazione Amici della Terra, quel male arretra. Luciano Mazzotti, architetto e Professore, ha incontrato la prima volta Gianluca in una pubblica assemblea a Idro, al cosiddetto Rapporto annuale organizzato per alcuni anni dall’associazione Amici della Terra Lago D’Idro Valle Sabbia, per informare sullo stato del Lago D’Idro e su quanto l’associazione fa per la sua salvaguardia; era il duemilaquindici. Con lui Mazzotti ha iniziato a parlare subito del Fiume Chiese. In merito al Fiume, al tratto dove lui è cresciuto, Luciano, racconta che quando lui era ancora un ragazzo, praticamente tutte le famiglie di Remedello e degli altri paesi di quell’area della pianura bagnata dal Chiese erano dotate dell’attrezzatura completa per la pesca, ovvero la fiocina, in dialetto “sfrösinö”, il “guadì” o “sbugì”, la “cünelö”, il “bertaèl”, eccetera. C’erano anche i pescatori di professione, vendevano il pesce a coloro che non andavano a pescarselo; lo trasportavano in cassette di legno, frammisto a blocchetti di ghiaccio, e lo offrivano in vendita ai compratori, nelle piazze e nelle vie principali. Luciano immagina, pertanto, che sin dai tempi preistorici anche gli abitanti di queste zone integrassero la loro alimentazione con le “proteine nobili” del pesce. Ricorda che c’era pieno di ogni sorta di pesci dappertutto, oltre che nel Chiese anche negli stagni, nei canali e nei fossi; anche in fossi piccolissimi e con due dita d’acqua, anche in tutti i fossi che scorrevano fra le case del centro storico, si trovavano dappertutto anche le cozze d’acqua dolce. Il territorio era caratterizzato da una rete fittissima di canali e fossi, grandi, piccoli e piccolissimi, con acqua perenne e limpidissima, proveniente dal Chiese e dai fontanili, anche da una sorgente della zona. Luciano racconta a Gianluca anche un ricordo di un episodio spaventoso, di quando era bambino, aveva tre anni, era sempre nell’acqua dei fossi che contornavano i campi di Remedello a cercare di prendere i veloci pesciolini, lo affascinavano, ma un giorno vide nell’acqua ferma, vicinissimo un essere mostruoso, bruttissimo e terrificante che non si muoveva come un pesce, si muoveva un po’ come un ragno; Luciano scappò via di corsa terrorizzato, non si fermò mai fino ad arrivare a casa; raccontò ai famigliari di aver visto il diavolo, al fosso, nell’acqua. Purtroppo nessuno gli credette, anzi per la sua insistenza a confermare l’evento lo avevano considerato un bambino bugiardo. Un bel po’ più avanti negli anni, Luciano capì che quell’essere mostruoso non era il diavolo, ma un gambero d’acqua dolce, che poteva vivere solo in acque pulitissime. Purtroppo dagli anni sessanta tutto è cambiato, e i gamberi sono scomparsi.

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