Suad Amiry – Storia di un abito inglese e di una mucca ebrea – Milano, Mondadori, 2020, 240 p. (191)

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Scrittrice ed architetto palestinese, con questo libro Suad Amiry ha saputo bene raccontare la “Nakba” – la catastrofe – seguita all’abbandono dopo oltre vent’anni dell’amministrazione (occupazione) inglese della Palestina nel 1947-48, che lascia campo libero (anzi armandoli) agli Israeliani che occupano illegalmente ed unilateralmente la “ricca” Giaffa e le altre terre palestinesi allontanandone i legittimi proprietari, mentre il dettato internazionale rimane inascoltato e non fatto rispettare. Tutto ciò in un racconto privo di astio e cattiveria, patemi, note sopra le righe, esposto anzi quasi con ironia, pur nel dolore del popolo interessato, ed intrecciando questa verità storica con una storia di sogni e d’amore (non felicemente conclusasi), altrettanto vera, di due ragazzi cresciuti e vissuti in quegli anni.

Tutto questo è stato possibile perché Amiry ama la realtà ma soprattutto la vita e sa quindi alla prima ed ai fatti conseguenti adeguarsi, pur se con sofferenze interiori, in nome di un amore più grande ed irrinunciabile: quello per la libertà e per il racconto della verità, che molto acutamente e con sensibilità ha saputo descrivere.

Le atmosfere, la cultura, le abitudini, i pregi (ed i difetti) del popolo palestinese sono stati sommariamente descritti per ben inquadrare i fatti, anche con il voluto inserimento di molte parole arabe che ne incorniciano meglio le “immagini”.

Questa sua capacità di “inserirsi” nel cuore dei personaggi e negli avvenimenti che li hanno coinvolti, riuscendo a descriverne i vari passaggi emotivi oltre che i fatti della cruda e nuda realtà, fa di questa scrittrice una storica testimone che la pone oltre il pur scorrevole e gradevole romanzo. Subhi e Shams non sono più solo un ragazzo ed una ragazza che si aprono alla vita e ne vengono delusi, con i loro sogni infranti, ma il simbolo di un intero popolo che vede giorno dopo giorno non solo sfumare i suoi progetti per un migliore futuro, ma anche privare delle sue case, dei suoi oggetti, delle sue cose con una ingiustizia intollerabile per chiunque, che ha lasciato non solo gli inglesi ma anche gli altri “padroni” forti occidentali del tutto indifferenti, anzi complici.

Lo stato di polizia sfigura e snatura la vita quotidiana, ma non distrugge i personaggi pur se ne fa morire fisicamente alcuni; con le loro idee e i sentimenti, da questo libro essi sembrano ammonire quanti pensano di piegare con la forza, oltre che il vivere, i valori delle persone, mentre invece sentimenti ed idee restano imperituri e saldamente ancorati al cuore ed alla mente dei singoli e dei popoli.

L’abito in pregiata, costosa e rara per quei tempi, lana inglese di Manchester e la sfortunata e contesa mucca (palestinese o ebrea non fa differenza) sono i simboli intorno ai quali ruotano tutte queste vicende storiche e ne sintetizzano egregiamente i fatti e soprattutto la tragedia di centinaia se non migliaia di famiglie smembrate e disperse. Famiglie le quali però non cadono mai nella rassegnazione ma restano, ieri come oggi, con la fiducia e la speranza che la loro terra ritorni alla gente a cui da sempre è appartenuta. Se il buonsenso, la giustizia e i diritti non solo parole ed opinioni, ma verità irrinunciabili dell’umanità.

Franco Cortese Notizie in un click settembre