Visco: niente terze vie, il liberismo non è mai stato di sinistra

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Su Domani del 30 settembre, Emanuele Felice ragiona sulle prospettive del Pd indicando come priorità strategiche la riconversione ecologica e la lotta alle diseguaglianze. Nulla da eccepire, si tratta degli obiettivi tipici e condivisi dalle sinistre in questa fase storica in tutto il mondo. Tuttavia, è sufficiente limitarsi a questo, o sarebbe anche giusto interrogarsi in modo esplicito sui motivi delle crisi delle sinistre in questo scorcio di secolo?

Il consenso del Pd e degli altri piccoli partiti e movimenti alla sua sinistra non decolla. Anche i voti persi dai Cinque stelle che non sono andati verso la destra rimangono sterilizzati nell’astensionismo senza dirigersi verso i partiti tradizionali della sinistra. Negli ultimi anni (decenni?) la sinistra non è stata più percepita come tale, è stata vittima di una perdita di consapevolezza di sé, di un mimetismo nei confronti delle posizioni della nuova destra e di un complesso nei confronti dell’ideologia dominante, quasi che le posizioni di destra fossero le uniche innovative e quelle di sinistra inevitabilmente conservatrici.

Si è affermato un sincretismo sintetizzato in un ossimoro: «il liberismo è di sinistra», confondendo due modelli storicamente e logicamente non conciliabili.

Queste alternative esprimono culture diverse che, se possono convergere, coesistere e a volte incontrarsi e ibridarsi, rimangono tuttavia alternative e non possono confondersi.

L’identità di una nuova sinistra
Dopo la conclusione della seconda guerra mondiale, la necessità di compensare le popolazioni per i sacrifici subiti durante il conflitto, il ricordo della grande depressione, la presenza incombente dell’Unione Sovietica e della ideologia socialista, l’influenza delle idee keynesiane e delle politiche di Roosevelt contribuirono a creare una società in cui gli spiriti animali del capitalismo venivano imbrigliati e indirizzati verso l’interesse collettivo. Per oltre 30 anni la globalizzazione dei mercati coesiste con i cambi fissi, il controllo dei movimenti di capitale e la regolazione della finanza.

I governi si pongono come obiettivo esplicito la piena occupazione e la realizzano. Le diseguaglianze vengono combattute e contenute. Vengono introdotti i moderni sistemi di welfare. Lo sviluppo della classe media cambia il mercato e la struttura dei consumi in occidente, i sindacati vengono riconosciuti come partner nella gestione dell’economia. I governi e la politica sono forti e indirizzano l’economia senza subirne eccessivamente il condizionamento.

La sinistra occidentale non aveva fatto la rivoluzione, ma aveva vinto e di fatto ottenuto tutto ciò per cui si era battuta per oltre un secolo, e quindi era pronta a diventare vittima del suo successo. In molti casi ha ecceduto in regolamentazione e statalismo, in politiche salariali irragionevoli, imponendo la sopravvivenza di imprese decotte. Così ha posto le premesse per la rivincita della destra, che ha gioco facile nel rivendicare il richiamo della ragione rispetto alle stravaganze in economia, il rilancio del mercato rispetto allo statalismo imperante, la riaffermazione del valore etico del profitto, dell’individualismo, e la contestazione dell’assistenzialismo. Si realizza la rivincita di Friederich von Hayek e Milton Friedman su John Maynard Keynes (e Franklin Delano Roosevelt).

In questa situazione, la sinistra vede la sua identità posta in discussione, spesso per buone ragioni, e perde la sua autonomia culturale. Il progresso e il cambiamento vengono identificati con la cultura liberale e non di rado con le posizioni liberiste. Le tradizionali idee socialiste vengono espunte dai programmi politici della sinistra, che sposta su un nuovo terreno la contrapposizione con la destra: quello dei diritti civili, che consente l’acquisizione del consenso dei ceti medi cosiddetti “riflessivi”, perdendo però il contatto con la tradizionale base sociale che si sente, e spesso è, abbandonata e cerca altri canali di rappresentanza.

La sinistra, inoltre assiste impotente e disattenta all’enorme aumento delle diseguaglianze e dell’inquinamento senza rendersi conto del fatto che essi sono il prodotto inevitabile del capitalismo liberista e senza regole che si è affermato nel mondo. Non di rado, inoltre, i dirigenti della sinistra acquisiscono abitudini, frequentazioni e valori in contrasto con la tradizione di sobrietà del passato, perdendo così legittimazione nei confronti del loro popolo.

Sono queste le questioni che andrebbero poste in discussione per un recupero di identità e cultura a sinistra (e non solo in Italia) e non può che essere il Pd a promuoverla, tanto più che l’ideologia liberista è chiaramente in crisi, assediata e insidiata dalle posizioni dei neo isolazionisti e dei neo protezionisti, regressive e reazionarie quanto si vuole, ma che danno alla gente l’impressione, l’illusione, che qualcuno si stia occupando ancora dei suoi interessi. C’è un intero mondo che va riorganizzato e chiamato a raccolta. E ciò non può essere fatto senza un’analisi critica e autocritica.

Niente terze vie
Il problema non è tornare al passato: oggi vanno cercate e trovate soluzioni compatibili con la nuova dimensione globale e sovranazionale dei problemi a cominciare da quelli ambientali. Il recupero di una identità e di una cultura autonome non implica la rinuncia all’esercizio dell’attività di governo anche in coalizione con forze di ispirazione centrista, soprattutto se c’è il rischio della prevalenza di forze di destra o populiste, ma la gestione del potere fine a sé stessa va abbandonata, così come vanno ripensati gli orientamenti strategici moderati e centristi che spesso hanno ispirato le forze di sinistra negli ultimi decenni. Il riferimento è alla terza via di Tony Blair, che non era disprezzabile quando fu prospettata come alternativa al thatcherismo e occasione di modernizzazione della sinistra, ma che si è trasformata progressivamente in conservazione, subalternità culturale, opportunismo. Nella situazione attuale pensare ad un recupero di un blairismo anacronistico post mortem appare quanto meno anacronistico.